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AAVV – Fire & Skill: The Songs Of The Jam

Fire_skill_the_jamNel 1982 i Sex Pistols erano ormai estinti, i Clash agonizzavano e i Jam – che appartenevano alla stessa generazione di meravigliosi punk del 1977 – erano la più grande band inglese.

È in quello stesso anno che Paul Weller decide di mettere fine alla loro avventura: all’apice del successo, dopo una fulminea evoluzione che in un solo lustro aveva portato lui, Bruce Foxton e Rick Buckler ad evolversi da grezzi teenager con una notevole incazzatura working class a raffinati punk-mod dalle venature r&b.

Lui, il Modfather, virerà (ma non sbanderà) forte con gli Style Council (nel resto degli ’80), assurgerà a padrino del britpop e grandioso solista (nei ’90) e dimostrerà una giovinezza di spirito, un’energia ed un’inventiva senza eguali per altri due decenni (dagli anni zero in poi) e… continua.

Nel frattempo la musica dei Jam – in realtà sempre un po’ meno celebrata di quella degli illustri contemporanei di cui sopra – finirà per influenzare schiere di artisti; come dimostra questo Fire & Skill: The Songs Of The Jam, è rintracciabile alle più disparate latitudini ed emerge dai più strani background.

Si tratta di un disco-tributo pubblicato nel 1999 dalla Ignition (il titolo viene dagli adesivi che Foxton, Weller e Buckler sfoggiavano sui loro amplificatori) che raccoglie i classici del trio rivisitati da figli e figliocci più o meno (im)probabili.

Tra le presenze sorprendenti vanno certamente annoverati Ben Harper (che si lancia in una interpretazione tutt’altro che timida di The Mordern World – il primo 45 giri punk ascoltato – in cui spicca l’accento west coast), i Beastie Boys (che trasformano Start! in una planata lounge quasi interamente strumentale), i Garbage (che si appropriano di The Butterfly Collector, spettacolare b-side di Strange Town, 1979) e gli Everything But The Girl che rendono giustizia ad una di quelle canzoni dolci delle quali il giovane Weller non andava troppo fiero, English Rose.

Più scontate le presenze di Liam e Noel Gallagher: il primo si lancia in una stilosissima, morbida e inquietante Carnation (che pare scritta per le sue corde vocali) in compagnia di Steve Cradock (Ocean Colour Scene e ancora oggi fidata spalla del Modfather solista); il secondo chiude ufficialmente la tracklist recitando (?) alla perfezione la parte della rockstar decadente in un’acustica To Be Someonegetting drugged up with my trendy friends / they really dig me and I dig them / and the bread I spend – is like my fame – its quickly diminished… »: Weller a 20 anni aveva già capito molte cose).

Altri sono veri e proprio parvenu dell’epoca: gli Heavy Stereo di Gem Archer – che di lì a pochissimo si sarebbe unito agli Oasis – ci danno dentro con The Gift, i Gene rileggono A Town Called Malice senza il ghigno polemico dell’originale e i Silversun, che probabilmente verranno ricordati più per questa scoppiettante versione di Art School che per ogni altra cosa abbiano mai prodotto (qualunque essa sia).

Menzione d’onore per i (già all’epoca veterani) Buffalo Tom, che con una classe infinita si producono in una Going Underground (primo singolo dei Jam a raggiungere la vetta della classifica) più che degna dell’originale – perché trascendono l’arrangiamento legnoso e puntano dritto sulla strepitosa melodia.

A battezzare Fire & Skill ci pensa Weller in persona, che si nasconde in una deliziosa ghost track: No One In The World, della quale forse un po’ si vergognava ancora – in realtà uno strepitoso bozzetto malinconico, sconcertante a pensare che è opera di un ventenne.

In conclusione: un disco che ha il gran pregio di contribuire a rimettere i Jam al loro posto nella storia, ricomponendone frammenti sparsi ovunuque – e ritrovati con molta sorpresa anche molto distanti.

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