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AAVV – Tropicália: A Brazilian Revolution In Sound

Tropicalia a brazilian revolution in soundÈ dalla sera della chiusura delle Olimpiadi di Londra che ci sto pensando: i prossimi Giochi e i prossimi mondiali di calcio avranno una colonna sonora impresentabile.

Sembrerà un lunghissimo carnevale, accompagnato da abbondante sculettare per nulla rinfrancante, roba da rimpiangere le terribili vuvuzela sudafricane del 2010.

Ma finché possiamo salvarci da tutto questo, salviamoci.

E recuperare questa compilation pubblicata nel 2005 dalla Soul Jazz Records può essere un’ottima mossa.

Ma non solo per levarsi di torno la samba plastificata dei giorni nostri, per scoprire qualcosa di più del Brasile, levarsi di torno l’immagine stereotipata che si porta appresso.

Perché la musica che si trova in questa raccolta racconta un momento particolare della nazione verdeoro, racconta di un movimento artistico (la tropicália appunto) nato negli anni della dittatura militare (1964 – 1985) e durato giusto il tempo del tramonto del sogno dei sixties.

Tropicália: A Brazilian Revolution In Sound è narrazione prima di tutto sonora di quei tempi, là dove il tropicalismo andava affermandosi in ogni ambito culturale; deframmentazione del linguaggio, fruibilità del momento artistico, multiculturalità, poesia concreta: da queste direttrici un manipolo di artisti rivoluzionò (o tentò di rivoluzionare) la musica brasiliana, sbeffeggiando il regime ma anche i suoi oppositori (come precisato nel libretto che accompagna il disco, che ripercorre tutta la storia del Brasile e della sua arte, e dovrebbe essere divulgato nelle scuole e studiato in una ipotetica ora di geopolitica).

La compilation raccoglie i lavori di sei artisti: Gilberto Gil, Caetano Veloso, Gal Costa, Jorge Ben, Tom Zé e gli Os Mutantes. In particolare nel suono di questi ultimi, pesantemente influenzato dal beat, dalla psichedelia britannica della seconda metà dei ’60 e dalle architetture blues dei Rolling Stones, si scorge l’apertura più deflagrante della scena verdeoro al mondo occidentale.

Tropicália si  apre e si chiude con Bat Macumba: nella versione degli Os Mutantes sembra di essere ad un festino sballato a Kensington, in una stanza zeppa di pipistrelli impazziti che cercano frenetici una via d’uscita, un effetto straniante prodotto dal ronzare incessante e psicotico delle chitarre; nella versione di Gilberto Gil e Caetano Veloso chitarre, sitar e congas sembrano provenire direttamente dai sobborghi di Salvador De Bahia (e in effetti è così).

Nel mezzo, un crogiolo di ritmi e stili che mischiano dolcezze malinconiche con ritmi artigianali e scatenati, diverse concessioni allo spoken (Irene e Tropicália di Caetano Veloso, ad esempio), ad orchestrazioni psichedeliche, e persino al funky che sembra anticipare di qualche anno l’esplosione definitiva del genere (Take It Easy My Brother Charlie di Jorge Ben). Menzione doverosa per la voce di Gal Costa, capace di passare da suggestioni mediorientali (Tuareg) ad una grinta che ricorda Betty Davis (Vou Recomecar).

Insomma, raccomandatissimo: un’orgia di colori al grido di battaglia è proibido proibir, e che merita di essere ricordato e rievocato come uno dei più significativi movimenti artistici postcolonialisti.

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