Ero in un negozio di dischi della mia città (quello che il libero mercato ha decretato essere più o meno l’unico negozio di dischi) a curiosare in giro.
Uno dietro di me, uno di quei tipi fastidiosi che commentano tutto a voce alta e che vorresti strozzare anche se tu hai su le cuffie dell’ipod, prende in mano questo disco: «ai nid a dolar. Ah bon, ‘sto qua inssia il disco chidendo schei. g’ha anca ‘na bruta facia nera». Certi miei concittadini (sic) si contraddistinguono per simpatia e rispetto.
Ma sai che c’è? Che almeno butto l’occhio sull’oggetto delle attenzioni del tizio, che intanto se ne va in giro a sfottere qualunque cosa ad alta voce.
A me I Need A Dollar, comunque, qualcosa dice: il titolo riattiva qualche neurone che aveva immagazzinato un frammento di ascolto distratto. E penso anche che a me questa faccia da chierichetto che la sa lunga sta simpatica. Non so chi sia, forse dovrei?, ha un nome di battesimo che sa di vegetale.
Prendo, ascolto, e mi dimentico che stavo cercando Al Green. La musica soul, in fondo, riconcilia con il mondo. E Aloe Blacc riesce a produrre musica soul, senza troppi orpelli, ma che parla dritto a quella parte di ciascuno di noi che adora una buona voce, una sezione di ottoni languida e magari anche una chitarra funk dove serve.
Insomma, il tutto nasce dritto dritto dai mostri sacri del soul, ma Aloe Blacc è uno credibile, e che ci crede. Tanto che ad un certo punto, in questo Good Things, nel buttare nel mucchio anche qualche metrica hip hop e qualche accenno alla Giamaica, si lancia anche in una cover di Femme Fatale dei Velvet Underground.
E la suona come fosse in chiesa, e con un sacco di silenzio. Tanto che da convincerci per un momento che l’Altissimo sia donna, che guidi le anime buone (come la sua) al successo e le anime curiose (come la mia) ai dischi giusti, e che non sia nemmeno niente male in cose che di solito si attribuiscono al suo rivale, quello che comprò l’anima da Robert Johnson.
0 comments on “Aloe Blacc – Good Things”