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Aphex Twin – Syro

Aphex-Twin-SyroSono giorni e giorni che Syro mi ronza nelle orecchie: si accavallano voci, beat, incubi, ritmi cristallini e altri sporchi, suite infinite, echi degli anni ’90 e futurismi vari – il tutto senza soluzione di continuità.

Non esiste confine, o almeno io non distinguo una traccia dall’altra, non distinguo la direzione dei miei passi in mezzo a tutto questo: alle prese con Syro, i concetti di tempo e di spazio sfasano completamente.

Allungo tragitti, mi perdo, ci ritorno su – ancora, e ancora – mi trovo da qualche parte chiedendomi come ci sono arrivato.

Ma stasera, stasera mi metto qui con le mie cuffie e cerco di un filo logico a tutto questo. Ma non c’è.

O meglio: Richard D James ha rispolverato il suo più mitologico alter ego, ha svuotato il suo hard disk e ci ha consegnato Syro… come? Programmando ogni volteggio in modo freddo e cerebrale, così che ne uscisse un enorme flusso di coscienza multiforme ed inestricabile, o tutto questo è nato così – multiforme ed inestricabile – e noi ci troviamo per le orecchie un qualcosa solo convenzionalmente suddiviso in tracce e schemi?

Da questo punto di vista il nuovo di Aphex Twin è pura pigrizia: non richiede altro che play (più di una volta, ma per quelli pigri veramente c’è sempre repeat); ma crea assuefazione, ed è tra le pieghe di questo schema semplice che sta la sua grandezza. Seguirne davvero i dettagli è impossibile e atroce, i micro/frammenti si mescolano e tutto diventa uno: ecco come un’opera di incredibile complessità diventa fruibile.

Tanti si interrogano: che senso ha Syro? Aphex Twin avrebbe potuto pubblicare una cosa del genere anni ed anni fa: ora rischia di apparire datata.

C’è chi legge in questo un certo immobilismo, c’è chi critica una specie di approccio progressive di James (e cioè, gli imputa un deciso sconfinamento nell’onanismo sonoro); alcuni finiscono per concludere per la sua grandezza, comunque, altri lo snobbano.

In realtà, il minutaggio (relativamente) monumentale e la schizofrenica omogeneità di questo disco fanno propendere per una sorta di manifestazione dell’alieno; qualcosa di calato dall’alto con invidiabile nonchalance e maestosità, ma senza particolare supponenza.

E allora: perché abbiamo atteso Aphex Twin per tredici anni? Per avere un altro disco poderosamente bello o perché abbattesse un’altra frontiera?

Per averne ancora un po’ – e possibilmente di ottima qualità – dopo tanta astinenza o per essere guidati verso qualcosa di inesplorato? La risposta su Syro sta lì, esattamente nella domanda.

 

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