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B.B. King & Eric Clapton – Riding With The King

riding with the kingIl re è morto, viva il re: B.B. King se n’è andato qualche giorno fa e giù tutti – anche chi se n’era sempre fregato – a celebrarlo e a riascoltare il suono inconfondibile della sua Lucille.

Nel 2000 ero troppo giovane per il blues, o almeno per un certo tipo di blues. La musica del diavolo per me aveva la forma filtrata dalla british invasion, gli Stones, al più gli Yardbirds e i Cream. I Cream appunto, e quindi Eric Clapton.

Recentemente ho riascoltato Riding With The King, che quell’anno valse un Grammy a questa coppia all’apparenza male assortita: l’allampanato inglese che per più di qualcuno era stato (un) dio e il pacioccoso nero cresciuto nel Mississippi; lo spirito urbano e quello rurale, insieme ad intrecciare le rispettive corde.

Posso dire con sincerità che è stata la prima volta che ho prestato orecchio per intero, sul serio e più volte; ho capito finalmente il perché di quella diffidenza diffusa che ha circondato Clapton in tutti gli anni dopo i Cream, o per buona parte di questi. Ottimo esecutore, ottimo compositore, ma non molto autentico?

Sì, e Riding With The King ne è paradossalmente la miglior prova. Non perché qui Mr. Slowhand suoni vacuo o senz’anima, affatto. Anzi, benedetta sia la sia mano che guida quella Stratocaster attraverso gli spazi che B.B. King prende e fa suoi con gli squilli pieni della sua Lucille. Questi spazi sono preponderanti: d’altra parte la tracklist – composta per metà di brani altrui (fantastica la rilettura lenta di Hold On! I’m Coming e di Sam & Dave) e per metà dal repertorio di King – la dice lunga.

Ecco: c’è lui – il Re – al centro della scena. Spalma la sua voce profondissima, si prende gli assoli, usa Clapton, la sua produzione e il suo team come una eccellente backing band.

Ma è uno strano gioco di specchi: così è per scelta dell’inglese, che ha voluto mettere l’allora settantaquattrenne al centro e si accontenta di stare al servizio di B.B. King.

Ecco cos’è in ultima analisi questo disco: redenzione e ricongiungimento. È l’occasione che Clapton coglie in pieno per dimostrare concretamente di essere un umile servitore (della musica) del diavolo. Finalmente, qui Clapton suona colmo di qualcosa spesso era mancato: l’anima. E anzi si tratta di un duetto: Riding With The King dimostra che l’anima di Clapton è B.B. King.

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