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Banjo Or Freakout – Banjo Or Freakout

Banjo-or-Freakout-album-packshot-CD-300x300Un bel dì decidi di piantare lì i Disco Drive e di trasferirti a Londra (per amore). Ti scegli un nome hip, produci le tue belle cose e per due anni diventi un fenomeno chiacchieratissimo: i tuoi remix procurano erezioni incontrollate ai blogger giusti e i tuoi mp3 ti fanno guadagnare l’attenzione anche di chi non conta più un cazzo davvero (l’NME), che ti definisce la risposta europea a Bradford Cox.

E tutti a stressarti che non si vede l’ora di un tuo disco, per gustarti sulla lunga distanza. Probabilmente ti chiedi anche se valga la pena ancora farlo, ‘sto disco, visto lo stato attuale del mercato. Però dato che sei in contatto con Nicolas Vernhes  (e lui se ne intende: ha prodotto Animal Collective, Dirty Projectors, Spoon e una carrettata di altri) perché no? Allora vi mettete lì a lavorare, passa per caso Matt Tong dei Bloc Party (esistono ancora?) e butta giù due parti di batteria, insomma, fai un album coi controcazzi, almeno sulla carta.

Sei anche discretamente sicuro del fatto, dato che non includi nella tracklist quei brani già conosciuti e osannati e citi Dylan (Idiot Rain). L’album per non sbagliare comunque lo chiami con il tuo nome d’arte, Banjo Or Freakout, ed esce nel mondo sotto l’egida della londinese Memphis Industries. Insomma, ne hai di motivi per essere contento ed andare a nanna sereno a lavoro fatto.

Poi una mattina ti svegli e la bibbia (… Pitchfork: ogni epoca ha la bibbia che si merita) ti stronca. Evidentemente loro preferiscono ancora Bradford Cox. Eppure ti adoravano, fino ad un attimo fa. Che è successo? No, il disco è piaciuto a tutti laggù, ti assicurano, ma non alla persona che l’ha recensito. Peccato che sia l’unica che conti.

Eh, caro Alessio Natalizia, si sa che fare un album intero è un’altro discorso rispetto al mandare in giro per la rete mp3 (o ep) tipo messaggi in bottiglia. Ed è (anche) da questo che al giorno d’oggi si distinguono i pivelli (molto più scarsi degli one hit wonders di un tempo) e chi ci sa fare sul serio. Mettere insieme un album è un’arte antica che rischia di estinguersi.

E quindi? No no, questo debutto eponimo (si diceva così, una volta), c’è. Cresce sulla lunga distanza, come tipico della musica del genere, ma la scrittura è solida e i suoni curatissimi. Probabilmente non dirà nulla a chi già da prima non bazzicava questo impasto oscuro di ellettronica, shoegaze e dream pop, ed è forse un limite.
Però è una conferma, non una smentita.

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