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Ben Folds / Nick Hornby – Lonely Avenue

ben-folds-lonely-avenue-300x300Un incontro dai risultati sorprendenti, quello tra Nick Hornby e Ben Folds (hanno bisogno di presentazioni?). Si annusano un po’, si scoprono l’uno ad ammirare l’arte dell’altro e si buttano in una collaborazione, come spesso succede, senza troppe pretese. Hornby scrive in 31 Canzoni che Smoke è uno dei suoi brani preferiti e che Folds è un genio, quest’ultimo legge rapito Febbre A 90°, Un Ragazzo, Non Buttiamoci Giù durante i tour.

Ne esce questo Lonely Avenue, con Hornby che si occupa dei testi (ma la definizione  short novels è più calzante) e Folds delle musiche. Un album molto americano nelle forme, zeppo di melodie, che guarda agli Steely Dan di Aja o al Donald Fagen di The Nightfly, e ovviamente ai migliori Elton John, Joe Jackson, Billy Joel. Al grande pop da FM made in U.S.A.

A questo contesto assolato Hornby aggiunge le sue parole, molto inglesi, a tratti malinconiche, sempre taglienti. Alcune sono spezzoni di storie già scritte, altre bozzetti mai completati che qui trovano la loro collocazione perfetta. L’ispirazione come sempre arriva dalla letteratura (Saskia Hamilton) o dalla storia della musica (Doc Pomus), ma soprattutto dall’osservazione delle piccole vicende quotidiane.

Impossibile non abbandonarsi e cullarsi alla dolcezza di Practical Amanda, o credere davvero alla melodia di Claire’s Ninth (la storia di un compleanno in balia di genitori separati: «l’anno prossimo dirà loro che vuole solo la pace nel mondo»). L’euforico singolo From Above è una geniale storia amarissima di anime gemelle, viste dall’alto, che non si incontrano mai: «è così facile dall’alto / si può vedere tutto / persone fatte per stare insieme / perse, tristi e piccole / ma non si può fare nulla per loro / non funziona così / certo, abbiamo tutti anime gemelle / ma ogni giorno passiamo vicino a loro senza accorgercene».

Hornby e Ben Folds si superano sul capolavoro Picture Window, facendo convivere la melodia più grandiosa e le liriche più tristi. Si passa da un ritornello cinico e suntuoso, da cantare a squarciagola («sai cos’è la speranza? / la speranza è una bastarda / la speranza è una bugia, un inganno, una provocazione»), ad un finale di redenzione violenta («e proprio mentre pensava di abbassare la tapparella / un razzo enorme esplode, davanti ai suoi occhi / la città si accende, Londra viene circondata da una corona di luce splendente / e lei prova, senza riuscirci, a non esserne entusiasta»). E’ la storia di un ricovero d’urgenza l’ultimo giorno dell’anno, e se non vi vengono i brividi avete il cuore di pietra.

Menzione d’onore anche per Levi Johnston’s Blues, che narra le gesta di questo tizio salito suo malgrado alla ribalta delle cronache per aver messo incinta la figlia di Sarah Palin durante le ultime presidenziali (e soprattutto lo sfruttamento mediatico ai fini elettoriali e buonisti di tutta la vicenda).

Insomma, Ben Folds e Nick Hornby riescono nel miracolo, creando un disco da ascoltare, fischiettare e leggere. Incredibilmente leggero e gustoso allo stesso tempo.

Ma è meglio dirlo con le parole usate da Hornby in 31 Canzoni, parlando proprio di Smoke:

Ce ne stiamo seduti nel mio giardino una calda sera d’estate, a mangiare pollo e ad ascoltare Todd Rundgren, quando di colpo un amico si lancia in una tirata sul pop. La sua tesi, se ho capito bene, era la seguente: il pop è merda perché le parole sono merda, poesiole patetiche e adolescenziali, non veri testi, e quindi, se è tutta merda, tanto vale darsi ad una musica che abbia uno scopo e nessuna pretesa, ragion per cui lui ascolta solo la house music. La house non si cura tanto delle parole, e ha una finalità diretta, ovvero farti ballare quando sei fatto come una pigna. Questo, secondo me, è come dire che siccome nella maggior parte dei ristoranti si mangia male, uno dovrebbe smetterla di andare a cercarne di buoni e consumare ogni pasto da McDonald’s. Non c’è dubbio, tuttavia, che i testi siano il tallone d’Achille del fan letterato.

Problema risolto, Nick.

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