Appunti

Best Of 2017

Un 2017 difficilissimo, con un album lì in cima a tutti quanti – per intensità e suono (puro) – iniziato a consumare ad aprile e mai più uscito dalla rotazione, mano a mano scalfito, ancora non compreso del tutto, affascinante nella sua profonda alterità: DAMN., con cui alla fine Kendrick Lamar ha pure vinto il Pulitzer (1).

Subito dietro, il rock’n’roll minimale e sudato di Near To The Wild Heart Of Life:  stavolta i Japadroids sono riusciti a trovare l’adrenalina pure lì dove gli anni stancano, a dispetto di ogni apatia e spaesamento (2); e a proposito di energia: con New Energy, Four Tet ha probabilmente composto il suo album definitivo, l’equilibrio perfetto tra l’enfasi laboriosa e senza senso delle prime ore del mattino e il placido tramonto di ogni battito a fine giornata (3).

Impossibile ignorare l’euforia esistenziale dei Rolling Blackout Coastal Fever da Melbourne, che stanno per debuttare sulla lunga distanza e anche se non dovesse andare bene l’ep The French Press rimarrà sempre un gioiellino di intrecci melodici e chitarre tese come non se ne sentivano da un bel po’ (4); non ci sono più parole, poi, per descrivere gli Spoon: il ritmo white funk di Hot Thoughts è un bel salto dai precedenti e uno schiaffo a tutti quelli che non hanno ancora capito come far convivere devianze sintetiche e chitarre (5).

Del tutto inaspettatamente, però, il party-album dell’anno è Pop Voodoo dei redivivi Black Grape, e tra l’altro dopo un po’ si fa l’orecchio all’accento assurdo di Shaun Ryder apprezzandolo ancora di più per la pura follia cazzara dei testi (6); la copertina è quasi peggio di quella di Planet Waves, ma finalmente Ryan Adams si è prodotto in un disco dove non c’è nulla da espungere o troppo poco da salvare: Prisoner è una casa che brucia al rallentatore, il momento esatto in cui si decide che basta così e in culo a tutto, con molta tristezza ed altrettanta prontezza nel mettersi a riparo (7).

Il viaggio più oscuro, forse, è quello in compagnia dei War On Drugs e di A Deeper Understanding: un’estetica precisa, confini sfocati, sogni che si trasformano in incubi e viceversa, solitudini di cui non si capisce il confine e passi incerti e nessuna (as)soluzione (8); esattamente dal lato opposto, ho trovato irresistibile la meraviglia radio-friendly di Dan Auerbach: che si tratti di un viaggio in macchina o di una passeggiata in città, di un giorno di pioggia di quelli un po’ così o di una giornata di sole sguinzagliati fuori, Waiting On A Song vive di una perfezione formale e spirituale che mette di buonumore per mezz’ora e poi in loop (9). Infine, tra tutti i possibili 10, prevale A Kind Revolution di Paul Weller, perché nel 2017 it takes guts to be gentle and kind (CIT.) è diventato una specie di mantra.


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Side notes: questi i dischi preferiti, che potevano essere almeno il doppio perché è stato un buon anno; e quindi diciamolo, ho amato anche entrambi i fratelli Gallagher, pur se motivi di versi (Who Built The Moon? e As You Were) e i loro pseudo scazzi sono pure comedy; porterò con me negli anni a venire Carl Brave x Franco 126 (Polaroid) scoperti quando ancora non erano hype, Colombre (Pulviscolo) e ovviamente Kelela (Take Me Apart).

-P.