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Black Mountain – IV

black_mountain_ivParte Mothers Of The Sun e allora si galleggia tra la gioia spontanea di aver finalmente ritrovato delle chitarre che macinano riff grassi e potenti come zampate di un dinosauro e la consapevolezza – comunque – di dover scomodare una sacra triade come composta da Led ZeppelinBlack Sabbath e Deep Purple; dura un attimo e poi riparte, voce ammaliatrice di Amber Smith e il ritmo fanno il resto.

Le tessiture di IV, (appunto) quarto lavoro dei Black Mountain che arriva a sei anni da Wilderness Heart, riportano in auge un’età in cui il blues era ancora il paradigma e le spinte heavy si mischiavano a istinti più hippie.

È un album che vive di istantanee ed irresistibili furberie heavy pop che lo rendono parente nemmeno così lontano di Rumours e di un immaginario che mette insieme dischi volanti, nottate stonatissime a piedi nudi sul tappeto e accoppiamenti selvaggi tra le lapidi del cimitero (a proposito: Cemetery Breeding pare frutto di una fantasia in cui gli M83 ritrovano improvvisamente l’uso della sei corde).

IV è capace di raggiungere l’autoiponsi citando (anche nei suoni) i Suicide (You Can Dream), di riversarsi in un universo parallelo in cui Mark Bolan è il frontman degli ABBA (Constellations) ed innalzare preghiere pagane più o meno plausibili (Line Them All Up, Crucify Me).

Il passato dei Black Mountain, le divagazioni simil-prog sono diluite qui e lì come gocce in espansione random attraverso tutte le tracce del disco, ed esplodono solitarie unicamente in (Over And Over) The Chain, mentre la chiusura (Space To Bakersfield) punta ad essere la loro Dark Star. O forse la loro Space Oddity.

Chi lo può sapere, in fondo: IV è uno di quegli album allo stesso tempo evocativi e gigioneggioni, buono sia per convincersi che certe epoche non tramonteranno mai, sia per constatarne il definitivo declino.