Si apre con gli uccellini, le foglie, un’acustica; prosegue in questo mood anche quando i Blonde Redhead abbracciano un’elettronica dimessa e ne tirano fuori una melodia vincente (Dripping).
Si direbbe che i fratelli Pace e Kazu Makino stiano invecchiando al rallentatore.
Si direbbe che questo album è più che altro questione di contemplazione potente, di dettagli soffici e scarni, di spazi forti ma mai dissonanti.
Dopo tanti anni i Blonde Redhead hanno trovato un nuovo modo di avvolgerci, con una dolcezza che poggia su un equilibrio minimale a metà via tra gli esordi arty e le più recenti redenzioni oniriche.
E se questo suono non fosse pervaso da un fascino scuro, sembrerebbe quasi di vederle, quelle architetture lineari e coloratissime di Louis Barragán; magari in lontananza – come ad ergersi in una monolitica avventura cromatica – qualcosa c’è: una prepotente rivendicazione di teatralità inaspettata.
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