Dischi

Blur – Parklife

blur_parklifeP: «Come sai in realtà a me i dischi dei Blur restano abbastanza sullo stomaco a parte Think Tank. Intendo… ascoltati come album.»

Nd: «Sì è una cosa nota, in effetti sono più da singoli, però Parklife è da avere, se uno deve prendere un disco dei Blur è questo.. a parte il Best Of, che ovviamente non ha riempitivi; per altro lì dentro proprio Parklife è il disco più rappresentato. Poi è un discorso che vale anche per gli Suede o tanti altri, viene fuori che forse solo gli Oasis in quel periodo hanno fatto dischi da prendere più in blocco.»

«Può essere. Anche se ci sono altri dischi del periodo che prenderei in toto tipo Different Class dei Pulp o Urban Hymns dei Verve… »

«… si ok.  Ma se devi buttare dentro questi è un altro discorso che comprende anche i Radiohead o gli Stone Roses, che in realtà non c’entrano…. la copertina comunque è heavy metal! Per il mood che trasmette questo disco, sarebbe meglio fosse la stessa immagine ma disegnata, non te la aspetteresti per un disco del genere. Sembra una foto da interno, non regge il confronto con altre copertine di grandi dischi. Tra tutti i dischi che bisognerebbe avere questa non è una di quelle cover che fa più schifo ma una di quelle che fa più cagare. Molto poco rappresentativa del contenuto: non che una copertina debba esserlo per forza, ma questa è molto poco d’impatto. Non so con che criterio sia stata scelta, anche le immagini dentro, loro alle corse, un frame di Mrs Robinson… »

«… è che è una stilizzazione, un frame di una passione molto british. Fermo restando che in effetti avrebbero potuto scegliere un’immagine migliore.»

«Comunque Girls And Boys è la canzone che ci facevano ascoltare mentre facevamo il riscaldamento di educazione fisica, alle superiori. Questa e forse gli Aqua, tipo…»

«… gli Abba non me li ricordo!»

«… gli Aqua! Barbie Girl! Gli Abba non erano ancora stati recuperati. Dicevo, Girls And Boys poi è la tipica canzone di quando Studio Aperto fa i servizi estivi. Ha un significato diverso per noi rispetto alla generazione coetanea dei Blur: lì c’è una questione di farsi le vacanze in Grecia, di identità sessuale. Più di altre canzoni di Parklife è calata nell’attualità ed è generazionale, non personale, né parla di personaggi immaginari come altre. È un disco che trasmette il tempo e la società in cui è nato, un album sociale, in un certo senso.»

«Infatti: chi cazz’è Tracy Jacks

«Il nome di un tipo, o una tipa. Nel libretto c’è questa tizia che gioca a golf, ma la canzone è al maschile.»

«Hmm. Il ritornello è molto fico, quasi una marcetta, e anche l’apertura con quegli accordi lì soli. Non è detto che poi in quel disegno sia una tipa. Ok, ha vestiti e tacchi ma anche la pelata… non so, da postino in pensione.»

«Qualcuno di molto immalinconito comunque, o che ha un po’ sbroccato, e che sente che il tempo si sta accorciando. Me lo/la immagino lì, in una tipica villettina a schiera, a rimpiangere di non aver passato qualche giorno in più da leone.»

«End Of A Century mi piace moltissimo, mi piace questo incipit in medias res con il fastidio per le formiche sul tappeto, una scena quotidiana potente però anche molto convenzionale»

«Prendi anche il titolo: noi oggi non ci pensiamo, sono passati 14 anni, ma all’epoca la fine del millennio era una cosa incombente, solo ora ci rendiamo conto che era solo una specie di convenzione. Se devi fare una playlist con le canzoni sul Regno Unito Parklife deve esserci! Vedi anche il video. Tutto molto inquadrato e felice, pare il Truman Show come ambientazione o atteggiamento. Mi fa molto ridere anche questa cosa del tipo che ha paura dei piccioni… »

«La cosa abbastanza strana e geniale è che si tratta di uno spoken di Phil Daniels, è una cosa che noi percepiamo solo in parte, da non brit, quanto possa essere fico e simbolico avere l’attore di Quadrophoenia sul tuo disco o sul tuo singolo.»

«… allo stesso modo non capiamo bene una cosa tipo Bank Holiday, le immagini le puoi anche capire ma il mood che non cogliamo del tutto… »

«… tipo il carnevale di Rio o il Mardi Gras, ma musicalmente questa mi pare buttata lì e basta.»

«Comunque se le prime cinque canzoni sono tipicamente british, la copertina ha ancora meno senso, allora meglio Robbie Williams vestito da calciatore su Sing When You’re Winning

«Forse non è un caso che nel libretto il richiamo a Mrs Robinson sia proprio su Badhead, che forse è una specie di spunto intimista dopo le prime cinque, e comunque il ritornello ha una melodia riuscitissima… The Debt Collector e Far Out sono dei riempitivi e siamo metà disco, 3 su 8. Una specie di valzer di ottoni?»

«A dire il vero fa quasi fastidio questa cosa dei riempitivi!»

«Se li togli hai un disco che potrebbe durare 15’ in meno, e su 53’ totali fa differenza, allunga il brodo. Bisogna accettare l’idea che stiamo ascoltando un concept? Mah.»

«Su To The End c’è questa cosa del francese… »

«… sì non so… Gli inglesi hanno una specie di idealizzazione della Francia, del sud della Francia, a parte gli Stones ovviamente! Però: pensa anche a Café Bleu degli Style Council: è allo stesso tempo piuttosto disperata.»

«Lei è Laetitia Sadier degli Stereolab, ed è l’unica prodotta non da Stephen Street. La copertina del singolo con quelle rose e la pistola però fa molto 007, il video pare ispirato alla nouvelle vague francese. Ne hanno fatto pure una versione francese, cantata da un francese, prodotta da loro, se Wikipedia ha ragione… »

«… ci sono troppi francesi! Però gran pezzone pop. Siamo al funky? Cos’è?»

«London Loves… »

«… che fa Coxon? Ci butta dentro i Pavement? Che dicevi prima di Trouble In The Massage Centre

«Che i riempitivi non finiscono mica nella prima parte del disco, devi palleggiare: poi magari dal vivo funziona. Un’altra sul rapporto con la modernità, è ancora attuale. Una specie di divisione tra chi la pensa positivo e chi trae il profitto dal fatto che le cose vadano male.»

«Anche le scogliere di Dover sono una cosa molto brit, in effetti ora manca solo una canzone che tira in ballo Stonehenge.»

«Hmm.. Clover Over Dover, ma le White Cliffs sono tipo per buttarsi giù. Qui vedi l’innata capacità di scrivere dei ritornelli come filastrocche, un pezzo schiocchino ma la scrittura è elevata. È un gran pezzo pop alla fine! È una riflessione: mi butto o non mi butto? E se mi butto che succede, come la prendete?»

«Pure Björk con Hyperballad diceva qualcosa del genere, ma più intimista.»

«Quello era più un artificio letterario per raccontare una relazione, era più ad effetto. Magic America è una canzone come Tracy Jacks ma qui il protagonista è tale Bill Barret… »

«Lui vuole andare negli States, o ci va, comunque è una via di fuga, letteralmente un piano b. Noto ora che i Blur sono riusciti a mettere in fila Miss America su Modern Life Is Rubbish, Magic America qui e Look Inside America su Blur…!»

«Questo è un sempliciotto che ha idealizzato l’America, fa le cose in modo meccanico, perché si devono. Tipo mandare le cartoline. L’altra faccia del sogno americano, visto dall’esterno come la terra promessa. È un piano B nel frattempo che vivi la tua vita mediocre, non diverso dall’aprirsi un bar sulla spiaggia in Brasile, vivi con la convinzione dello scemo del villaggio. Ogni volta che lo incontri ti dice che se ne andrà in America, ma la conosce dalla tv non davvero, la idealizza.»

«Ma su Jubilee stavano facendo dei tentativi di scrivere Song 2? Fa molto Sex Pistols. La scrittura rimane elevata»

«Pare Bowie su Ziggy Stardust, però è una canzone su un diciassettenne accidioso!»

«… And into the sea goes pretty England and me… mi è sempre piaciuta tantissimo la chitarra su questo pezzo, che rimane delicato, ma quella ha un suono bello pieno. Fai caso al ritmo molto narcotizzato?»

«Una delle migliori canzoni degli anni ’90, si. Forse una delle canzoni in cui stanno meglio insieme gli elementi di cui dicevamo prima, l’approccio di Coxon e l’elettronica di Albarn, la melodia, l’intimismo melodico. l’assolo, e poi un break acustico e poi va verso il finale, perfetta.
Riporta molto bene quell’atmosfera un po’ grigia inglese, senza picchi né verso l’alto né verso il basso. Una canzone sulla normalità del fatto che possano esserci alti e bassi.»

«Forse alla fine è quella che preferisco, su tutto Parklife. Come finisce, qual’è l’ultima?»

«Una schifezza… potevano finire con This Is A Low

«Ci mancava, in effetti,  il ritmo quasi reggae… Ma che è, i Monty Python?»

«Perché finisci così un disco? Per mandare tutto in vacca? Perché sei inglese?»

«Per non prenderti sul serio, immagino. Anche se poi va a finire che delegittimi tutto quello che hai fatto prima! Forse ci stiamo dando troppa importanza – ma anche a pensare che non sia un concept, e che questo filo rosso che unisce le canzoni sia sostanzialmente capitato – In questo modo delegittimi tutta l’opera no?»

«È come lanciare il sasso e nascondere la mano, hanno infilato queste sciocchezze per abbassare i toni no? Ma può essere letta come il non prendersi la responsabilità di quello che si è detto fino a quel momento: critica sì, ma rimaniamo dei musicisti e non dei sociologi, fondamentalmente.»

«Comunque alla fine rimango della mia idea, però capisco meglio che Parklife non è una semplice collezione di canzoni, il resto è gusto.»

«Sono legate l’una all’altra, almeno per quello che possiamo capire noi. Forse non era inteso come un concept, ma finisce per esserlo.»

«Concordo. Andiamo a pranzo?»

«Sì. Fra l’altro: non ho mai capito quale sia il tipico cibo inglese. Mangeranno mica fish & chips ogni giorno, no?»

N.b.: Girls And Boys è tra i nostri 35 riff di basso preferiti.

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