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Blur – The Magic Whip

blur_magic_whip«Volevo solo riposare, starmene per cinque giorni nell’enorme vasca della mia bella camera d’albergo e invece Damon ha cominciato ad agitarsi, a dire cose tipo… andiamo a registrare un disco, cazzo!»

Frutto di una sveltina ad Hong Kong, The Magic Whip è l’ottavo disco dei Blur, il primo dai tempi di Think Tank, il primo dopo il debutto solista di Albarn, post-Gorillaz, post-reunion.

Impossibile dire se sarà l’ultimo, l’unica cosa certa è che ora è qui e ancora deve passare lo stupore che sia così.

Esattamente come la sua genesi, The Magic Whip è imprevedibile.
Ha svolte nuove, non segue logiche particolari, non insegue il passato, è un disco per certi versi completamente free form.

Ecco, in questo album c’è soprattutto voglia di avere voglia – o, come ha dichiarato Graham Coxon, esprime il bisogno di redimersi, di non lasciare le cose in sospeso, di trovare il modo di chiedersi reciprocamente scusa per essere stati così… così, nell’ultimo decennio e più (e infatti,  non fosse stato per lui probabilmente quelle session di Hong Kong sarebbero state dimenticate).

Certo si può giocare a rintracciare sequenze di accordi e malinconie che sembrano mutuate direttamente da Everyday Robots o da The Bad, The Good & The Queen, così come scovare certe gommosità e ritmi anni ’90: è piuttosto facile – hey, stiamo parlando dei Blur! (e/o comunque della frenesia creativa di Albarn).

Sì, in un attimo The Magic Whip ci spinge a rispolverare le care vecchie Gazzelle (Lonesome Street), ma dura poco e solo a sprazzi (un’altra? Ong Ong, che è quasi Love Is All Around), o ci fa tornare in mente come si stava nel 1997 a mischiarsi con l’indie americano (Go Out), ma è tutto frammentato, effettato, sparso qua e là.

Il suo baricentro è un altro: va cercato nell’onda lunga di Thought I Was A Spacemen e nella sua malinconia che da asettica diventa improvvisamente pulsante, livida, accesa dall’eco di mille circuiti elettrici che si animano di scatto sotto le dune di Hyde Park; o, ancora, nella confessione arieggiata di My Terracotta Heart eravamo come fratelli… ma è stato tanti anni fa»), forse ancora nel plastic soul (che sa tanto di Style Council) di Ghost Ship.

In fondo, potrebbero essere tre le chiavi di lettura:

1) The Magic Whip è un disco di Damon Albarn, finalmente servito dalla backing band che ha sempre voluto e che – per qualche strano e mai ricucito senso di colpa – ha messo a sua disposizione ogni energia creativa;

2) The Magic Whip è frutto di un collettivo (e umanissimo) bisogno di mettere un punto fermo dopo anni di incertezze (salvo il fatto che proprio un’iniziativa del genere non risolve queste incertezze, anzi…);

3) The Magic Whip è il disco maturo, compiuto, che Alex James, Damon Albarn, Graham Coxon e Dave Rowntree avevano bisogno di fare – ciascuno di loro – ma non potevano che fare insieme.

O forse è tutte e tre le cose.

E come ogni sveltina, come ogni amplesso rubato al tempo e alle circostanze, chissà se mai avrà un seguito.

1 comment on “Blur – The Magic Whip

  1. Pingback: Video: Blur - Lonesome Street – Non Siamo Di Qui

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