Appunti

Un paio di cose (ancora) su David Bowie

«Something happened on the day he died
spirit rose a metre then stepped aside
somebody else took his place, and bravely cried»

In un attimo David Bowie è tornato, l’istante dopo ci ha lasciati per sempre; Blackstar è stato un regalo quasi crudele, ma allo stesso tempo il miglior modo che un uomo abbia finora mai escogitato per farsi beffe della propria mortalità.

Lo shock emotivo della perdita ha reso evidente il tratto più essenziale della vita e dell’arte (…non che si possano scindere) di Bowie: la sua non è mai stata la voce di chi non aveva voce, ma ha reso legittime tutte le voci; i suoi molti modi di essere, di esprimersi, i suoi travestimenti, i suoi occhi asimmetrici e le sue canzoni hanno esortato la dignità di ciascuno di noi, anche inconsciamente.
Nessuno deve sentirsi estraneo; nessuna imperfezione è tale, nessuna ambizione è ridicola; questo il suo lascito: la sua arte è stata – è – un lungo abbraccio inclusivo e incoraggiante.
Non siate come me, ma siate come preferite essere, vestitevi di voi stessi con coraggio.

La veglia nella sua Brixton, subito trasformatasi in uno street party: probabilmente non esiste testimonianza più reale e commovente dell’influenza di Bowie sull’essenza delle persone.

Volendo verbalizzare il senso di queste immagini, la mente corre al mese scorso quando Tilda Swinton (“your Tilly“) ha ritirato per conto della famiglia Bowie il Board Of Directors’ Tribute del Counsel Of Fashion Designers Of America (CFDA) pronunciando un discorso capace di riempire il cuore di gioia e gli occhi di lacrime:

Once upon a time you gave us a freak for freaks:
now and forever more, in our missing you, you have brought out the freak in everyone.

You tipped us that wink from the first: one man’s freak is another man’s free.
Difference and change are all we ever have to rely upon, and always were.

Un insegnamento che si riverbera anche su un piano più strettamente musicale.
Questo mini documentario intitolato David Bowie Was The Gateway Drug For Your Favorite Rockstar è stato messo insieme dal team di Okayplayer nel backstage dei concerti-tributo di fine marzo alla Carnegie Hall di New York.

Molti condividono un proprio ricordo, scelgono una canzone, cercano di spiegare Bowie.
La percezione cambia di volta in volta: se per Laurie Anderson «David non era di questo mondo», per Wayne Coyne il punto strabiliante è che «per quanto si reinventasse ogni volta, in fin dei conti era semplicemente un uomo»; Tony Visconti confessa che la prima volta che lo vide «vestito da Ziggy» riuscì a riconoscerlo solo dalla voce; per Michael Stipe la sua vita è ancora il migliore esempio da seguire per affrontare la quotidianità

Se inserite una cifra successiva a 69, il sito che vi dice cosa combinava David alla vostra età rivela che probabilmente ora «è un astronauta. O una creatura aliena. O qualcosa che non siamo in grado di comprendere»: quest’ultima ipotesi  forse vale anche per tutti gli anni precedenti.

Le sue intuizioni continuano a sconvolgere il nostro presente, però: la storia della copertina di Blackstar è solo l’ultimo esempio ed il futuro sicuramente riserverà altro.

Una volta Bowie stesso disse: «l’unica arte che mai studierò sarà quella dalla quale potrò rubare qualcosa»; quale migliore esortazione a studiare proprio lui, oggi, a rubare a rubare il suo significato: «one man’s freak is another man’s free».

Un paio di spunti per farlo: al MAMBO di Bologna la mostra David Bowie Is… dal 14 luglio al 13 novembre, presenza obbligatoria; Masatoshi Sukita, fotografo giapponese cui si devono le maggior parte delle fotografie-icona di Bowie (e al quale abbiamo rubato quella che trovate in questo articolo) intervistato alla fine del 2015 da Time (altra lettura da ripescare: How Daid Bowie Went Mainstream) e l’11 gennaio 2016 da I-D.

1 comment on “Un paio di cose (ancora) su David Bowie

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