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British Sea Power – Machineries Of Joy

british-sea-power_machinery-of-joySopravvissuti bene agli anni zero del rock’n’roll – peraltro con una coerenza ed un’ispirazione quasi sempre sopra la media – con Machineries Of Joy i British Sea Power tornano all’equilibrio perfetto.

Quello, per intendersi, mostrato agli esordi e poi un po’ smarrito; a differenza di allora, forse, solo meno spontaneo e più ricercato.

Il titolo di questo sesto lavoro omaggia Ray Bradbury, autore (tra gli altri) di Farenheit 451 e delle short stories Le Macchine Della Gioia, ed effettivamente tutto il disco – che nasce con il dichiarato intento di creare un’oasi di tranquillità e semplicità in mezzo al casino del mondo – sembra ispirato alla capacità dell’uomo di plasmare la natura (non intesa in senso prettamente ecologico), rispettandone i ritmi e i tempi. Quasi ottocentesco.

C’è una bella varietà di stili in Machineries Of Joy, a partire dall’incedere kraut dell’iniziale, lunga, title track, che si snoda attraverso momenti più adrenalinici (K Hole, ma non è mai violenza – foga, piuttosto), in cui compaiono archi a dialogare con le distorsioni (Monsters Of Sunderland), midtempo primaverili (la splendida Spring Has Sprung e la sua chitarra perfetta sul canale destro, Radio Goddard – ancora archi, che qui fanno molto Camera Obscura) e riminiscenze beatlesiane (Hail Holy Queen, What You Need The Most).

Bello, convinto, convincente: fresco come una scampagnata lonano dal casino della città. E quindi riuscito.

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