Seconda uscita dell’anno per Burial, che evidentemente ha trovato una direzione nuova, già inaugurata nel precedente Kindred: brani lunghi, che alternano decostruzioni infernali e carnalità oscure, inseguendo un climax impossibili e, infatti, sempre attesi e mai davvero manifesti.
Le due tracce di questo ep sono in realtà due suite abbondantemente sopra i dieci minuti.
Più e più volte Burial preme il tasto reset e cambia scenario, ma l’odore di South London rimane lì ad aleggiare, ed impregnare ogni beat, scricchiolio e frammento vocale.
Burial crea beat che odorano di vuoto e sporcizia, infila break che sanno di vecchi piano bar congelati in periferia, assimila e rigurgita elementi tipici di Four Tet, mentre tutto intorno un suono teatrale si spande e pare come di essere risucchiati via, altrove.
Il punto è che l’altrove di Burial è, letteralmente, inafferrabile e multiforme.
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