Alla fine possiamo ammetterlo: i Coldplay sono i nuovi U2. Nel senso che esattamente come Bono & soci, non azzeccano un disco da così tanto tempo che quasi se n’è persa la memoria.
Nel caso specifico rimane X&Y (2005) l’ultimo album da prendere in toto e di lì sono andati sempre peggio: persino Mylo Xyloto e forse anche il sintetico, piagnucolone Ghost Stories sono meglio di questa porcheria che hanno deciso di intitolare A Head Full Of Dreams.
Sia chiaro: rinnovarsi e cambiare direzione è cosa che si addice ex se ad un artista e nessuno pretende scrivano un altro Parachutes o un altro A Rush Of Blood To The Head.
Ma c’è modo e modo e dopo la sperimentazione guidata da Brian Eno di Viva La Vida (Or Death And All His Friends), che riuscita o no poteva avere un senso (pensate un po’ cosa ci tocca ammettere a posteriori…), Chris Martin e i suoi hanno imboccato un tunnel in cui rinnovamento è sinonimo di pura paraculaggine.
E quindi, A Head Full Of Dreams rincorre stucchevole l’airplay più contemporaneo, ammiccando come una puttana ad quel pop/r&b plasticoso che va per la maggiore dall’altra parte dell’Atlantico, ovviamente ospita Beyoncé (Hymn For The Weekend, nel caso in cui non sia chiaro il livello), arriva a campionare Barak Obama (Kaleidoscope), seppellisce un (comunque trascurabile) assolo di Noel Gallagher in coda ai sei-minuti-sei di Up&Up, dopo un coro che a confronto quello di We Are The World sembrava davvero abbracciare le migliori intenzioni.
Se il primo singolo Adventure Of A Lifetime vi è sembrato insopportabile nel suo sculettare anni ’80 sappiate che il resto è peggio; se non vi è sembrato così male fatevelo dire: per voi non c’è speranza.
E i Coldplay, partiti come romanticoni un po’ uggiosi e ingenui, ora sono più che altro quell’amico scemo che abbiamo tutti, quello sempre immotivatamente preso bene, tenerello e coloratissimo. Ma sotto sotto un gran paraculo, appunto.
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