X&Y è il disco con cui i Coldplay mettono da parte una volta per tutte quell’aria dimessa che li aveva caratterizzati all’esordio con Parachutes e la brillante essenzialità di A Rush Of Blood To The Head.
Strizza l’occhio e spalanca le braccia al pubblico, ma non è ancora cervellotico come il successivo Viva La Vida, né magniloquente come Mylo Xyloto, né, ancora, totalmente insignificante come Ghost Stories.
Anzi è una scarica melodica notevole e per lunghi tratti incantevole, alla quale è impossibile rimanere indifferenti.
Per una Fix You – scritta da Chris Martin per consolare la sua Gwineth Palthrow dalla perdita del padre – capace di ridurre alle lacrime e al contempo di farci sentire meno soli, c’è una Talk che esalta citando esplicitamente i Kraftwerk di Computer Love (il placet arrivò via fax).
Per una Speed Of Sound, primo singolo che puntava a non spezzare troppo la continuità con il suono di A Rush… (ma a confronto è comunque iperprodotto e quasi ridondante), c’è Square One che introduce l’intero album con un tappeto sintetico e una voce vicinissima.
Insomma, in X&Y i Coldplay infilano canzoni che rappresentano una scintillante perfezione pop – come The Hardest Part – senza però riuscire del tutto a spazzare via quella sensazione di inutile grandeur strisciante negli arrangiamenti: pure dove sarebbe molto più facile tirare dritto verso l’asciutto quasi si sforzano nell’arricchire e pompare il loro suono (Till Kingdom Come, nata come duetto con Johnny Cash – ma l’uomo in nero non ha mai fatto in tempo).
Con questo disco Chris Martin e soci hanno iniziato a rivendicare un ruolo mainstream, a pretendere ancora più spazio come se i due straordinari album precedenti non fossero abbastanza: ecco cos’è in fondo X&Y, il primo assaggio di una sfrenata ambizione che li porterà negli anni successivi a cercare volare anche troppo in alto.
Ma d’altra parte è anche la giusta chiusura della loro trilogia d’esordio, rivelatrice sì di straripanti ambizioni, ma anche di straordinaria bravura.
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