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Cotton Mather – Kontiki

cotton_mather_kontikiKontiki è uno dei più fulgidi dischi pop in cui potreste imbattervi, sul serio.

Pubblicato negli States nel 1997, arriva in Europa due anni dopo; e questi texani – che prendevano il nome da un invasato pastore puritano di Boston, protagonista della caccia alle streghe giù a Salem – attraverseranno l’Atlantico solo nel 2000 per fare da spalla degli Oasis nel tour di Standing On The Soulder Of Giants, godendo di qualche settimana di esposizione mediatica.

Fino alla ristampa del 2012 (pubblicata grazie ad una campagna su kickstarter – v. sotto) questo album costava un sacco, e insomma: i Cotton Mather nascono e rimangono culto, un’intuizione azzeccata di pochi (ma buoni, su tutti: Britt DanielNoel Gallagher che appunto li volle con sé, Steve Van Zandt – che incluse la loro Lost My Motto nel suo Coolest Songs In The World – e gli autori di Veronica Mars, che ripescarono Lily Dreams On per un episodio della serie).

Qualcuno al tempo arrivò a dire che si trattava del «guitar pop più eccitante dall’esordio dei Supergrass» (?!), secondo il Guardian «il miglior disco che i Beatles non hanno mai registrato» (definizione già più interessante); la verità è che i riferimenti di Robert Harrison hanno radici lunghe: sì, i Beatles ante 1966 ed il George Harrison solista, ma anche i Alex Chilton e i Big Star, il perenne jingle – jangle dei Byrds.

Qualche frazione di secondo in reverse e Kontiki* si apre al mondo con Camp Hill Rail Operator: un diluvio di parole su una fragorosa melodia power pop, uno dei momenti di assoluta perfezione che i Cotton Mather distribuiscono con apparente nonchalance in questi 40′ minuti.

Gli altri? Molti: My Before And After, Password, Lily Dreams On, She’s Only Cool; ma anche Church Of Wilson – dai contorni più lo-fi -, Vegetable Row (che già dal titolo pare un omaggio: quando poi Harrison apre bocca per intonare i primi versi e lo fa come una specie di Dylan convinto, beh…), Aurora Bori Alice (una preghiera d’amore ad Alice, una che pare in fissa con le stelle, salvo il fatto che «she loves her telescope more than I’d known, oh…»).

Tra riferimenti astrusi e liriche mai chiare, arrangiamenti incredibilmente complessi (nonostante sia frutto del lavoro casalingo su un quattro piste da pochi dollari) ma mai meno che diretti, c’è nulla di davvero espungibile in Kontiki (nemmeno Animal Show Drinking Song e Prophecy Of The Golden Age, anche se sembrano delle incompiute).

E finisce così: i Cotton Mather se ne vanno sulla chitarra psichedelica di Autumn’s Birds, profetizzando qualcosa che per loro stessi si sarebbe rivelato cruciale: «you could say the sky’s the limit, but you’ll never be a star».

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*dovrebbe essere più corretto Kon Tiki: dio della pioggia Inca e nome della zattera usata dall’esploratore norvegese Thor Heyerdahl nel 1947 per veleggiare dal Sud America alla Polinesia.

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