Appunti Cover Versions

Cover versions 002: Bruce Springsteen

Più che We Shall Overcome – The Seeger Sessions (2006), sono i riferimenti sparsi in suoi moltissimi brani – alcuni mai confermati: The River cita Merle Haggard… forse! – a testimoniare che Bruce Springsteen è un profondo conoscitore della musica dei padri dei padri. Ma anche del soul, del blues, del r&b, del rock’n’roll delle origini.

E se volete una testimonianza di quanto possa essere prodigiosa la sua E-Street Band nell’amalgamare il tutto con le composizioni originali del Boss, il consiglio è di riascoltare Hammersmith Odeon, London ’75 (anche questo dato alle stampe nel 2006) – inestimabile testimonianza dello sbarco londinese dell’allora illustre sconosciuto Springsteen.

Non è su questo che vogliamo concentrarci oggi, ma sul fatto che negli ultimi anni di tour quell’attitudine da banda di paese, capace di suonare di tutto anche (e soprattutto) a richiesta, è diventata un tratto distintivo della E-Street Band.
Ed è quello che ha portato all’inclusione di due brani come Just Like Fire Would (The Saints, 1986) e Dream Baby Dream nell’ultimo High Hopes; partiamo proprio da quella.

Dream Baby Dream (Suicide, 1977): ripulita di ogni contorno spettrale e claustrofobico, questo incubo firmato dai Suicide diventa un’elegia (anche se sorretta dalla tipica enfasi springsteeniana).

Johnny B. Goode (Chuck Berry, 1958): sì, il paradigma del rock’n’roll. Qui siamo nel 1995 e Springsteen (con un imbarazzante pizzetto) ospita la leggenda Chuck Berry e lo fissa stupefatto durante tutta la canzone. Berry invece sta palesemente pensando che se Springsteen non avesse con sé quell’enorme band, lui se lo metterebbe in tasca.

You Never Can Tell (Chuck Berry, 1964): questo è un magnifico esempio di come funzionino le cose nell’universo Springsteen, che decide ogni sera di accettare un suggerimento dal pubblico e – come uno scapestrato direttore d’orchestra – dà approssimative indicazioni alla E-Street Band per improvvisare la canzone resa immortale da Chuck Berry Vince Vega e Mia Wallace giù al Jack Rabbit Slim’s.

Hold On, I’m Comin’ / Soul Man (Sam & Dave, 1964 – 1967): performance straordinaria, risalente al 1999. I due classici del soul rivisitati con la potenza della sezione di fiati della E-Street Band e Sam Moore («the original soul man!») in persona, vestito in modo imbarazzante con cinturone, pantaloni neri, gilet luccicante e – colpo finale – una maglietta con su scritto Sam is who I am: avrà voluto ricordarlo a noi o a lui stesso? Deliziosa, riuscitissima, Bruce felice come un ragazzino.

Fortunate Son (Creedence Clearwater Revival, 1969): «l’Hank Williams della nostra generazione», così Springsteen presenta John Fogerty e si lancia in una versione tutta steroidi di Fortunate Son – non prima di aver ricordato che «suonavamo le sue canzoni nei bar quando avevamo diciotto anni e lo facciamo ancora ancora oggi, su questo palco»; a seguire i due faranno anche Pretty Woman.

I Saw Her Standing There / Twist And Shout (The Beatles, 1963): questa viene dal concerto ad Hyde Park del 2012; è una performance un po’ caotica di due classici del repertorio dei Beatles (Twist And Shout però, prima ancora che degli Isley Brothers è dei Top Notes). Fa impressione però vedere questi due – alla loro età – così esagitati. McCartney assomiglia ad una vecchietta inglese ben conservata a colpi di brandy.

The Harder They Come (Jimmy Cliff, 1972): non siamo in grado di ricostruire cosa ci facesse Springsteen nel 2012 al SXSW (però: esiste un posto dove non è mai stato?), ma chiama sul palco l’immortale Jimmy Cliff per una deviazione reggae. La qualità audio/video non è altissima, ma sufficiente per ridere tantissimo del pigiama sfoggiato dal profeta giamaicano.

Stayin’ Alive (Bee Gees, 1977): questa è una delle più particolari, risale al tour australiano dello scorso anno. Il classico disco dei Bee Gees parte in acustico, chitarra e tromba, diventa una cosa gospel e poi un’orgia di ottoni.
Cab Calloway diceva sempre: «se sei circondato da ottimi musicisti, non sarà necessario spiegare loro nulla; se non sono ottimi musicisti, sarà comunque inutile spiegare loro qualunque cosa»: la E-Street Band rientra nella prima categoria.

Burning Love / (I Can’t Get No) Satisfaction (Elvis Presley, 1972 – Rolling Stones, 1965): si ok, Burning Love non è di Elvis ma di Arthur Alexander, al quale il Re la sfilò poche settimane dopo la pubblicazione facendola diventare una hit di proporzioni bibliche. Qui c’è anche Tom Morello – che nel 2012/13 venne aggiunto alla band – e pare divertirsi un casino. Tutto parte, ancora una volta, dalle richieste del pubblico.
Chiudiamo così, con due classici che non fanno che rafforzare la convinzione che con musicisti del genere alle spalle puoi permetterti di tutto, e che la cosa migliore degli ultimi anni di Springsteen sta nella pura gioia che si legge nei volti del pubblico – che si tratti di essere coinvolti in queste baracconate (perdonaci Boss, lo diciamo molto bonariamente) o di scatenarsi su quelle canzoni che hanno reso Springsteen unico, con le sue storie di disperazione mai rassegnata.

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Nelle puntate precedenti:

Cover versions 001: Verdena

2 comments on “Cover versions 002: Bruce Springsteen

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