Dischi

Culture – Two Sevens Clash

Marcus Mosiah Garvey morì nel 1940 colpito da due infarti causati – a quanto pare – dall’aver letto un suo falso necrologio sul Chicago Defender; è soprattutto grazie a lui che qualcuno si ricorda del quarantesimo presidente degli Stati Uniti, Calvin Coolidge, il quale gli concesse la grazia dopo che era finito sotto indagine federale per presunte irregolarità commesse dalla sua compagnia di navigazione, la Black Star Steamship.

Mettendo da parte il folklore, in Giamaica Garvey – che in vita fu sindacalista, scrittore e (appunto) imprenditore – è considereato un padre della patria ed è una figura centrale del rastafarianesimo.

Non si limitò ad opporsi alla schiavitù ed al colonialismo (la Giamaica ottenne la piena indipendenza dall’Inghilterra solo nel 1962), ma aderì attivamente alla dottrina del panafricanismo – secondo cui tutte le persone di colore, in ogni parte del mondo, sono anzitutto cittadini dell’Africa – teorizzandone una variante che ebbe rapido successo (etiopismo): tutti neri sono cittadini dell’Africa e lì hanno diritto di tornare, finalmente unificati sotto la monarchia etiopica, ponendo così fine alla loro diaspora causata dallo schiavismo (a pensarci, nell’attuale momento storico più di qualche esponente politico europeo potrebbe improvvisamente rispolverare questa dottrina).

Nel 1930 Ras Tafaris salì al trono d’Etiopia con il nome di Hailé Selassié e, ultimo discendente della dinastia di re Salomone, fu riconosciuto come «re dei re» e addirittura come Gesù Cristo nella sua «seconda venuta in maestà, gloria e potenza» dai seguaci di Garvey, che videro così realizzarsi quanto predicato/teorzzato dal loro maestro, da quel momento elevato al rango di profeta.

Ecco perché quando Marcus Garvey – mentre viaggiava in autobus, si narra – ebbe l’apocalittica visione secondo cui il 7.7.77 («Two Sevens Clash») sarebbe arrivato il giudizio universale fu preso tanto sul serio.

O meglio, così accadde anche grazie ai Culture, che per il loro disco d’esordio (pubblicato proprio quel giorno) ripresero quella profezia, con l’effetto di creare una suggesione tale da paralizzare Kingston: il 7 luglio del 1977 molti edifici pubblici chiusero, la gente rimase tappata in casa, i trasporti fermi.

La Giamaica è ancora lì, non è ovviamente accaduto nulla, ma il grande successo della title track di questo disco contribuì non poco al clima surreale di quel giorno; anche perché in qualche modo il testo di Joseph Hill – da una parte – rende vividi e definiti i contorni di quella visione («il grande profeta Marcus Garvey l’ha detto, Santiago De La Vega e Kingston si rivolteranno l’una contro l’altra… ricordi quanto erano rigogliosi i i campi di cotone fuori dalla stazione di polizia di Ferry, ora sono stati distrutti da lampi, tuoni e fulmini …») e – dall’altra – esalta la credibilità delle doti profetiche di Garvey («era rinchiuso nella prigione della città spagnola e mentre lo liberavano disse “mentre attraverso questo cancello, nessun uomo vi entrerà più”, e così è stato: quel cancello è ancora chiuso..»).

Ma il suono roots di Two Sevens Clash – prodotto da Joe Gibbs – è tutt’atro che paranoico: è rilassassimo, quasi spensierato nonostante il fervido messaggio di lode a Jah, ricorrente in tutte queste dieci tracce; arrivò al grande successo internazionale diventando ben presto un must per i punk londinesi e per tutti coloro che consideravano Bob Marley un po’ meno autentico da quando era diventato mainstream.

Con differenti compagni di viaggio, Joseph Hill avrebbe sempre portato avanti sempre il suo canto mattutino di amore, pace e speranza, finché nell’agosto del 2006 – mentre si trovava in tour a Berlino – fu improvvisamente chiamato al cospetto di Marcus Garvey e Hailé Selassié, che immaginiamo fierissimi di lui.