Dischi

Daft Punk – Random Access Memories

61ia07wdzql-_sl1500_Passata (???) la sbornia da Get Lucky – una di quelle canzoni intelligenti che non solo fanno muovere il culo, ma fanno addirittura scattare (dalla sedia, dal marciapiede, nell’abitacolo dell’auto) e agitarsi posseduti e scomposti, persi in un repeat eccitato e potenzialmente infinito – ecco Random Access Memories in tutto il splendore soffuso e retrò.

E fa strano pensare che questo sia solo il quarto disco dei Daft Punk dagli anni ’90 ad oggi: ma a riascoltare bene tanto bastava a ridefinire, ognuna di queste quattro volte, il suono contemporaneo.

Sarebbe sbagliato, sull’entusiasmo di un brano come Get Lucky (peraltro molto diluito rispetto alla versione radiofonica), bollare questo disco come una mera riedizione – aggiornata, rivista, attualizzata – del seminale C’est Chic (a.d. 1978).

Sì, c’è Nile Rodgers, ci sono Paul Williams, Giorgio Moroder (Giorgio By Moroder, la traccia più lunga, è un suo monologo autobiografico registrato con quattro microfoni diversi – anche se la cosa è impercettibile), ma anche Julian Casablancas (Instant Crush non stonerebbe su Comedown Machine), Pharrell Williams, Panda Bear, Todd Edwards (Fragments Of Time: popsong perfetta, perché i Phoenix si sono dimenticati come si fa).

No, la disco music della fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 (ma anche le colonne sonore dell’epoca, vedi il crescendo iniziale di Beyond, o Within), è filtrata attraverso la personalissima visione dei Daft Punk (cioè i loro caschi), e pare piuttosto il contesto (suonato, non campionato) in cui Random Access Memories si muove.

Dai primi dieci secondi al fruscio finale su cui i due volano via, questo disco non riporta in auge nulla, piuttosto sfrutta quelle architetture, quelle chitarre sincopate e il funk per dare sfogo ad una sfrenata ambizione di conquistare il mondo con un disco incredibile e dalle ispirazioni più disparate, creando il groove perfetto per lasciarsi  alle spalle, ma anche per perdersi sul fondo di una bottiglia.

Ed è forse questa la grandezza di Random Access Memories, là dove mostra non tanto la festa perfetta, ma osa, mischia, biascica, decolla sull’astronave, fino anche al momento in cui tutto evapora via – e l’edonismo sfrenato sbiadisce tra le tracce bianche delle strisce sniffate sul tavolino.

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