Dischi

Damon Albarn – Everyday Robots

everyday_robots_album_packshot_high_res_3Everyday Robots è il primo vero disco solista di Damon Albarn, attesissimo ancor a prima di essere annunciato.

Non ci saranno nuovi dischi dei Blur, né dei Gorillaz, così ha detto lui  e così questo è quello con cui dovremo fare i conti da oggi in poi: a vent’anni tondi da Parklife, il percorso ormai solista di questa mente curiosa, agitata e agitatrice.

Una specie di isolamento ben manifestato dalla copertina scelta per questo nuovo esordio.

Chiariamo subito una cosa: Everyday Robots è un concentrato di malinconie, alienazioni e solitudini che molto raramente alza (anche solo vagamente) i bpm (Mr. Tembo – un simpatico elefantino incontrato in Tanzania); e quindi, dal punto di vista strettamente sonoro, sappiate regolarvi.

Sembra scontato dirlo, ma non c’è alcuna Country House o Feel Good Inc. qui; anzi il nostro si concede qualche digressione in stile Brian Eno (Parakeet, completamente strumentale, You And Me) e soprattutto materializza e amplifica ossessioni tecnologiche ed isolamenti («when I’m lonely, I press play…», con tanto di video girato esclusivamente su iPad) in maniera così forte da risultare affaticante, una specie di senso di sopraffazione che domina l’intero Everyday Robots.

Quella di Albarn è una nebbia introspettiva magnificamente prodotta da Richard Russell (che ci mette anche le percussioni, nella maggior parte dei casi), perfettamente contemporanea in quanto a resa e spiritualità: ma non c’è redenzione in questo panorama alienato.

È un’opera che sa più di rassegnazione e sconforto che di risveglio: bisogna insomma augurasi in qualche modo che non invecchi bene, sarà il segno che siamo usciti da quest’epoca folle.

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