Black Gold è la scusa perfetta per tracciare una prima linea di demarcazione nel percorso degli Editors.
Certo, in altri tempi – quelli ormai antichi, non fatti di playlist e ascolti random – un best of sarebbe arrivato decisamente prima, non a quasi quindici anni dall’esordio; ma comunque: com’è andata fin qui?
La band di Tom Smith era partita proponendo un suono certamente derivativo, ma convinto, intenso e vissuto (The Back Room); poi, come molte altre emerse nel 2005, non è più riuscita a giustificare tante attenzioni. A posteriori, il titolo del loro secondo album – An End Has A Start – suona come una profezia.
Black Gold lo dimostra. Qua e là hanno azzeccato qualcosa, in certi casi clamorosamente bene (Smokers Outside The Hospital Doors è probabilmente il loro brano definitivo), altre volte galleggiando comunque con una certa dignità (A Ton Of Love è praticamente una cover degli Echo & The Bunnymen, ma certo si fa ascoltare); per il resto, al massimo sono riusciti a suonare come i Frankie Goes To Hollywood soffocati in un barile di pece (Papillon) se non peggio.
I ben tre inediti (Frankestein, Upside Down e Black Gold) svelano che loro stessi hanno compreso che la recente esperienza in compagnia di Blanck Mass (che qui è del tutto ignorata), anziché rivitalizzarli, potrebbe averli affossati definitivamente.
Insomma: l’unico best of possibile degli Editors è The Black Room, e pochissimo di più. E Black Gold oggi sta qui a dimostrare, in fondo, quanto poco sia bastato nel nuovo millennio per generare hype.
Black Gold è la scusa perfetta per tracciare una prima linea di demarcazione nel percorso degli Editors.
Certo, in altri tempi – quelli ormai antichi, non fatti di playlist e ascolti random – un best of sarebbe arrivato decisamente prima, non a quasi quindici anni dall’esordio; ma comunque: com’è andata fin qui?
La band di Tom Smith era partita proponendo un suono certamente derivativo, ma convinto, intenso e vissuto (The Back Room); poi, come molte altre emerse nel 2005, non è più riuscita a giustificare tante attenzioni. A posteriori, il titolo del loro secondo album – An End Has A Start – suona come una profezia.
Black Gold lo dimostra. Qua e là hanno azzeccato qualcosa, in certi casi clamorosamente bene (Smokers Outside The Hospital Doors è probabilmente il loro brano definitivo), altre volte galleggiando comunque con una certa dignità (A Ton Of Love è praticamente una cover degli Echo & The Bunnymen, ma certo si fa ascoltare); per il resto, al massimo sono riusciti a suonare come i Frankie Goes To Hollywood soffocati in un barile di pece (Papillon) se non peggio.
I ben tre inediti (Frankestein, Upside Down e Black Gold) svelano che loro stessi hanno compreso che la recente esperienza in compagnia di Blanck Mass (che qui è del tutto ignorata), anziché rivitalizzarli, potrebbe averli affossati definitivamente.
Insomma: l’unico best of possibile degli Editors è The Black Room, e pochissimo di più. E Black Gold oggi sta qui a dimostrare, in fondo, quanto poco sia bastato nel nuovo millennio per generare hype.