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Eric Clapton – Unplugged

Quando Eric Clapton mise piede nei Bray Film Studios di Windsor per registrare un concerto acustico per MTV,  il 16 gennaio 1992, la sua vita era disastro sotto molti punti di vista.

Praticamente qualunque cosa avesse prodotto nel decennio immediatamente precedente era stata lontana dalla top ten, comprese la collaborazioni con Phil Collins, che peraltro davano (e danno) la misura della sua disperazione; solo con Journeyman (1989) era parso riprendersi un po’ di se stesso e smettere di cercare a tutti costi il successo nella pop music.

Ma il 27 agosto del 1990 l’elicottero che trasportava Stevie Ray Vaughan, in tour con lui, si era schiantato su una collina fuori Chicago uccidendo sul colpo tutti i passeggeri; il 20 marzo del 1991 il figlio avuto da Lori Del Santo – Conor, 4 anni – morì cadendo dal 53° piano di un grattacielo di New York. Pubblicata appena due giorni prima della registrazione di questo Unplugged, la colonna sonora del film Rush – che pure conteneva Tears In Heaven, il brano in cui Clapton aveva strizzato tutto il suo dolore – sembrava già insignificante, così come la pellicola che accompagnava.

Insomma: da tempo Mr. Slowhand aveva abbandonato la bottiglia e la polvere bianca che tanto gli avevano tenuto compagnia, ma ora forse si stava chiedendo se ne fosse valsa davvero la pena.

Però questa è una storia a lieto fine, perché quel giorno davanti al pubblico ed alle telecamere Clapton riuscì a presentarsi nella sua veste migliore e Unplugged divenne immediatamente un classico: pubblicato l’agosto successivo, schizzò immediatamente in cima alle classifiche in Europa e negli Stati Uniti, portando il successo di EC a livelli che forse nemmeno lui più sperava, gli valse tre Grammys (album dell’anno, best male rock vocal performance, miglior canzone per Tears In Heaven) e sostanzialmente gli diede la spinta per tornare a livelli degni di lui nel corso dei ’90; non fu il primo disco della serie, ma da lì in avanti e per qualche anno il format MTV Unplugged spopolò.

Giusto così, perché in Unplugged – che rimarrà per sempre un momento in cui si fondono il plauso della critica, i gusti del pubblico e la straordinarietà di un disco (che esiste a prescindere da quei primi due fattori) – è la miglior dimostrazione di cosa sia sempre stato Eric Clapton: tecnica sopraffina, gusti strepitosi, coraggio di vincere le proprie ossessioni e timidezze. Suo malgrado, comunque, mai uno showman fatto e finito.

Molti gli highlights: quasi inutile dilungarsi su Tears In Heaven, perché è roba talmente intensa da scoppiare in lacrime ogni volta; Lyla è sconvolta ma immediatamente riconoscibile; la versione di Before You Accuse Me pare stretta parente di quella di Bo Diddley pure se elettrica; l’apertura frizzante e strumentale di Signe è uno dei non rari momenti di leggerezza dello show, l’altro notevole è San Francisco Bay Blues in cui Clapton suona pure il kazoo; il blues rurale in punta di piedi di Malted Milk è un inarrivabile manuale di chitarra; Rollin’ & Tumblin’ chiude a rotta di collo; Running Of Faith è un momento toccante ed intenso tanto quanto Tears In Heaven ma spesso sottovalutato.

La deluxe edition del 2013 ha aggiunto anche alcuni brani tagliati dalla versione originale del disco, tra tutti My Father’s Eyes che qui stava ancora cercando la quadra e riapparirà solo su Pilgrim (1998)

Alla fine, scorrendo e riscorrendo Unplugged, ascoltandolo, davvero poco importa che la firma su questi brani molto raramente sia di Clapton: questo è blues che lui ha portato al mondo, questo è a tutti gli effetti il suo repertorio, suonato ed arrangiato in modo tale da non creare alcun fraintendimento nel chiedersi dove fosse finita ad un certo punto la sua anima.

3 comments on “Eric Clapton – Unplugged

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