Appunti

Exhibithionism

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Vale la pena imbarcarsi e volare a Londra per Exhibitionism, la mostra con cui i Rolling Stones hanno deciso di celebrare il loro imperturbabile mito, aperta fino al 4 settembre prossimo?

Risposta granitica: sì.
Se siete fan irriducibili potrebbe valere anche tutto il viaggio; se non lo siete, si tratta comunque di 24 sterline ben spese.
Soldi – occhio – che includono la prevendita e la prenotazione (e l’audio guida, se la volete), perché bisogna selezionare un giorno ed un orario d’ingresso (non modificabili): dalle 10 del mattino, ogni 30′, un sistema che permette agli spazi della Saatchi Gallery di non trovarsi mai sovraffollati e (quindi) ai visitatori di godersi appieno quella che è un’immersione a 360° nel mondo di Mick Jagger e soci.

Esattamente come ve lo potreste aspettare, c’è di tutto e di più.
Si va dalla realistica ricostruzione del lercio appartamento di Edith Grove in cui Jagger, Richards e Brian Jones vissero insieme nel 1962-63 contando gli spicci (e i topi) a quella degli studi Pathé Marconi di Parigi (meglio: Boulogne-Billancourt) dove anni dopo registrarono Some Girls (ma anche Emotional Rescue e Undercover); i master originali degli album, i manoscritti (tra cui il leggendario taccuino di Keith), il primo contratto discografico, la famigerata lettera di protesta ricevuta per il testo di Some Girls.

C’è un’intera sala dedicata agli strumenti, una ai più folli e leggendari abiti di scena, un’altra raccoglie i video, un’altra ancora le pellicole che nel corso degli anni hanno visto protagonisti gli Stones (il tutto raccontato da Martin Scorsese, tra l’altro), gli artwork, gli immensi palchi dei tour.
Nello spazio dedicato alle rarità – oltre ad una stramba ricostruzione della copertina di Get Yer Ya-Ya’s Out! – sono esposti il registratore e la batteria giocattolo a cui si deve il suono di Street Fighting Man (per una dimostrazione del perché vi rimandiamo a Keith Richards: Under The Influence).rolling_stones_exhibitionism_tongue

Potrete divertirvi a mixare le loro canzoni, o immergervi tra il pubblico di un loro concerto grazie al 3D (anzi, anche meglio), o impazzire cercando di seguire la spettacolare timeline che ripercorre i loro viaggi in giro per il mondo dagli inizi allo scorso anno.

Di una cosa vi accorgerete, leggendo le note scritte dagli stessi Stones a corredo delle collezioni: il loro costante interfacciarsi con 50 anni di arte, nelle sue varie coniugazioni – scenografi, ritrattisti, fotografi, poeti, registi, documentaristi, costumisti.

Insomma: Exhibitionism è una mostra concepita e realizzata per tenere fede alla statura immortale del suo soggetto; la si può vedere come (auto)celebrazione del mito, anche se – per fortuna – risulta molto meno pacchiana di quanto potrebbero suggerire il suo logo o le enormi linguacce che vi accoglieranno all’ingresso della galleria, sulla Duke Of Yorke Square.

In fondo, attraverso i suoi accurati dettagli, Exhibitionism pare suggerire che la storia dei Rolling Stones altro non sia che una delle possibili chiavi di lettura del secolo breve, una specie di cartina tornasole di cinquant’anni di evoluzione: dalla ricostruzione postbellica alla guerra fredda, dal Vietnam alla caduta del muro di Berlino, dalle avanguardie artistiche ai movimenti pacifisti e quelli per i diritti civili, dalla globalizzazione alla smaterializzazione della musica stessa.

Non è che gli Stones – dice Exhibitionism – sono semplicemente passati indenni attraverso tutto questo e sono ancora qui: no, gli Stones sono stati e sono tutto questo; certo, senza la pretesa di prendersi mai solo troppo sul serio (perché, come si dice, in fondo it’s only rock’n’roll), ma comunque un’ottima prospettiva diversa da quella dei libri di storia.

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