Come lo scorso anno, anche in questo 2012 vogliamo riservare un po’ di spazio a quei dischi che abbiamo ascoltato ma che proprio non ci sono andati giù, per un motivo o l’altro.
Poi magari nel corso del 2013 ci ricrederemo.. però, per ora, per questi qui fa lo stesso…
Aerosmith – Music From Another Dimension (Sony)
Il ritorno degli Aerosmith dopo sette anni è di quelli da ricordare, nel senso che se li conosci li eviti. Parte come un disco degli Orbital (!) ed è lunghissimo, fatto com’è di riff triti e ritriti, che nemmeno riescono a far pensare che Tyler, Perry e gli altri possano essere vagamente in palla. Le solite ballate stracciamutande (ma con meno personalità di un bacio perugina), e il resto sono accelerazioni immotivate. Unica nota positiva: è un segnale di vita, ce la fanno ancora a respirare e tenere in mano gli strumenti. Sopportarsi l’un l’altro ed essere originali, probabilmente, è più difficile.
The Big Pink – Future This (4AD)
Ha più a che fare con Rhianna che con lo shoegaze. E neanche a dirlo, non è bene.
Fun. – Some Nights (Fueled By Ramen)
Diciamolo, tutto quello che non è We Are Young su questo disco è inascoltabile. Pomposo e irritante allo stesso modo dei Muse.
Muse – The 2nd Law (Warner)
Si salva solo Madness, e non è una novità: in ogni disco dei Muse c’è quella canzone che fa venire l’istinto di non soprassedere, di non lasciarsi infastidire dalla loro esagerata voglia di grandeur, dalla loro volontà di essere tutto: gli U2, i Radiohead, i Queen, gli Yes (aggiungere a piacere), flirtare con l’indie ed essere irrimediabilmente mainstream. Ma come al solito il resto è davvero troppo spudorato per passare sotto silenzio, e stavolta sconfina pure nel pacchiano.
The Enemy – Streets In The Sky (Cooking Vinyl)
Può un disco essere semplicemente brutto? Sì. Un conto è che non acchiappi, che sia magari fiacco ma ben concepito, un conto ancora è che sia costruito a tavolino per piacere, e quindi perda fascino. Qui siamo nel vuoto pneumatico. Una band di eterni wannabe, che preme a tavoletta sugli effetti e vomita pseudo rancore provinciale con il culo poggiato sugli sponsor. Per carità, un paio di tracce che s’incollano ci sarebbero anche, ma puzzano da lontano di inutilità.
Maximo Park – The National Health (V2)
Non è assolutamente corretto dire che i Maximo Park abbiano scritto sempre lo stesso disco dal debutto del 2005 (A Certain Trigger): sono peggiorati notevolmente, inserendo sempre più plastica nelle loro melodie, e melodie sempre peggiori nelle loro canzoni. The National Health né morde né si fa ricordare per un singolo (spunto). Via in un click: la sorte peggiore.
Bobby Womack – The Bravest Man In The Universe (XL)
Piange il cuore a metterlo qui, quantomeno per la revenza assoluta nei confronti di un sopravvissuto. Ma in questo disco ci sono troppe cose che non vanno, a partire dalla produzione di Damon Albarn, non molto a suo agio con il rhythm and blues, e che vorrebbe modernizzare, invece finisce per imbalsamare. Stucchevole la presenza di Lana Del Rey, che riesce a rendere artefatto tutto quello che incrocia (musica, pubblicità, e Bobby Womack in questo duetto che sa di Nabokov).
Bloc Party – Four (Frenchkiss)
Artwork senzazionale a parte, non c’è davvero molto da ricordare di questo quarto sforzo della band che fu capace di scrivere un disco epocale dalla prima traccia alle b-side come Silent Alarm. Sì, hanno riscoperto le chitarre ed una certa coesione, ma pare piuttosto il tentativo di raddrizzare una carriera allo sbando. Ma a parte alcuni bei colpi di coda (Octopus, The Healing, Day Four), la benzina è finita.
Macy Gray – Talking Book (429 Records)
Complimenti il coraggio, perché per rifare un intero disco di Stevie Wonder ce ne vuole e anche parecchio. Complimenti per il coraggio, ma no grazie. Perché oltre il coraggio e la voce (ma neanche tutta quella di una volta), e una buona rivisitazione di You’re The Sunshine Of My Life non c’è nulla. Superstition, poi… pure Estelle è riuscita a farne una versione migliore.
– P.
Chromatics – Kill For Love (Italians Do It Better)
Nell’ininterrotto revival new wave sembrano quelli che c’hanno capito di meno. 17 brani sono troppi, soprattutto se durano più di 7 minuti e aggiungi sanguinosi effetti alla voce e il polistirolo alla batteria (Running From The Sun). Fuori fuoco.
Enter Shikari – A Flash Flood Of Colour (Ambush/Self)
Perché se sei capace di trascinanti devastazioni titaniche à la Mars Volta (Arguing With Thermometers) mi rovini tutto con pacchianissima elettronica che nemmeno i peggiori Linkin Park (Pack Of Thieves)? Pasticciato.
John Frusciante – PBX Funicular Intaglio Zone (http://recordcollectionmusic.com/)
Caro John un appunto: non sei obbligato a registrare ogni cosa che fai in casa. Se ti compri un sequencer, non è detto che ci interessi ascoltare il risultato dei tuoi tentativi di utilizzarlo. A caso. Non sempre riescono ciambelle col buco, come nel 2004…
Lana Del Rey – Born To Die (Interscope Records)
Finto sin dalla copertina. Un pezzo di questo e un pezzo di quello per dar vita ad un Frankenstein biondo. Plastica.
Muse – The 2nd Law (Warner Bros. Records)
Era dal precedente disco dei Muse che non facevo tanta fatica a finire di ascoltare per intero un disco (anche se Animals…). Nausea.
Offspring – Days Go By (Columbia Records)
Una manciata di brani spaccaculi alla vecchia maniera, sommersi da porcate imbarazzanti (tipo Cruising California o OC Guns). Sgomento.
Ry Cooder – Pull Up Some Dust And Sit Down (Nonesuch)
Disco senza filo logico. Un po’ Paul Simon, un po’ Johnny Cash. E ascoltando pezzi come El Corrido de Jesse James o Christmas Time Is Here è impossibile non riaffiorino i piacevoli ricordi delle gaie sagre paesane con l’orchestrina, i vecchi che ballano, le code infinite alle casse e quel persistente afrore di stallatico (e relative produzioni concimanti). Fastidio. Se proprio ci tenete, potete ascoltarlo qui.
Neurosis – Honor Fund In Decay (Neurot Recordings)
Non capisco il post metal (nemmeno se me lo produce Steve Albini). Qui un esempio.
– Nd –
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