All’inizio, tuffarsi nel nuovo lavoro di Christian Fennesz è come correre a perdifiato in mezzo alla nebbia cercando di scappare troppo lentamente da qualcosa di atroce; poi In My Room si dirada e lascia spazio alla sensazione di aver sbagliato, di essere finiti dritti verso qualcosa di ancora più spaventoso.
Agora è il primo album che Fennesz firma da solo dai tempi di Bécs; lo ha creato interamente in casa, con quello che aveva a disposizione fuori dallo studio; è fatto di quattro tracce cera sembrano ciascuna una storia a sé.
L’unico vero filo conduttore di queste composizioni è il loro abbandonarsi, o meglio l’abbandonarsi del loro autore: riflettono perfettamente lo scorrere libero dei ricordi, delle fantasie, delle sensazioni, della quiete e magari del nervosismo portati dal dover rendere conto solo a sé stessi. Agora, insomma, è il lasciarsi andare.
Rainfall è in parti uguali una tessitura sonica di frequenze chitarristiche maciullate e ritmi che sembrano assolutamente scomposti, come una bufera che non sa in quale direzione abbattersi. Agora un brulicare di questioni che non sembrano mai riuscire a bucare la superficie per respirare o mostrarsi.
L’apoteosi è la conclusiva We Trigger The Sun, che suona come se tutto lo shoegaze degli ultimi trent’anni colasse verso il vuoto, lento come lava che ribolle al rallentatore.
All’inizio, tuffarsi nel nuovo lavoro di Christian Fennesz è come correre a perdifiato in mezzo alla nebbia cercando di scappare troppo lentamente da qualcosa di atroce; poi In My Room si dirada e lascia spazio alla sensazione di aver sbagliato, di essere finiti dritti verso qualcosa di ancora più spaventoso.
Agora è il primo album che Fennesz firma da solo dai tempi di Bécs; lo ha creato interamente in casa, con quello che aveva a disposizione fuori dallo studio; è fatto di quattro tracce cera sembrano ciascuna una storia a sé.
L’unico vero filo conduttore di queste composizioni è il loro abbandonarsi, o meglio l’abbandonarsi del loro autore: riflettono perfettamente lo scorrere libero dei ricordi, delle fantasie, delle sensazioni, della quiete e magari del nervosismo portati dal dover rendere conto solo a sé stessi. Agora, insomma, è il lasciarsi andare.
Rainfall è in parti uguali una tessitura sonica di frequenze chitarristiche maciullate e ritmi che sembrano assolutamente scomposti, come una bufera che non sa in quale direzione abbattersi. Agora un brulicare di questioni che non sembrano mai riuscire a bucare la superficie per respirare o mostrarsi.
L’apoteosi è la conclusiva We Trigger The Sun, che suona come se tutto lo shoegaze degli ultimi trent’anni colasse verso il vuoto, lento come lava che ribolle al rallentatore.