Dischi

Fennesz – Bécs

Se nei precedenti lavori di Christian Fennesz il miracolo stava tutto nel rintracciare nenie e passaggi siderali sepolti sotto strati e strati di progressioni abrasive, questo Bécs ha piuttosto in se il fascino pericoloso di un brutto trip.

Forse mai come oggi l’austriaco ha scolpito tanta (di quella che sembra) negatività nelle sue trame glitch.

Da un certo punto di vista formale, questo disco è un ritorno a casa: pubblicato dalla Editions Mego come fu tanti anni fa Endless Summer, il titolo altro non è che la dizione ungherese di Vienna. Ma comunque, il primo impatto con Bécs ha più a che fare con un viaggio oscuro al centro di una perversione che con la purezza e la pace (apparente?) professata in Venice o – appunto – Endless Summer.

Via gli arpeggi acustici, che lasciano il posto a chitarre spesso alterate, grattugiate, imperfette nei toni e nei colori; via gli orizzonti cosmici, sostituiti da scariche elettrostatiche di satelliti in disuso.

Fennesz si avvia verso la desolazione e rabbuia ogni sentiero di redenzione: Bécs è un grosso spazio carico di ansia.

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