Qual è il suono dei raggi del sole che si riflettono sull’acqua del mare?
Qual è il suono dello scafo di una barca mentre fende pigro le onde?
È un respiro sordo, forse uno sciabordio cieco e legnoso, oppure un soffio ruvido si schegge?
E, ancora, come risuonerebbe quell’odore intenso e scomposto che si spande tra le calli e annebbia i sensi?
Quale intensità nasconde la nebbia mattutina che si alza dalla salsedine e quale rifugio sicuro per gli uccelli di mare?
Quanto lontano e quanto a fondo riusciamo a percepire i dettagli e i riverberi?
E, alla fine, quale suono produrrà il nostro corpo compresso e schiacciato dalla pressione del mare? Chi potrà ascoltarlo?
Dieci anni fa, Fennesz pubblicava Venice. Ascolto dopo ascolto, queste domande sciocche hanno acquistato senso e ricevuto una involontaria (?) risposta.
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