Four Tet – Beautiful Rewind

Beautiful Rewind non è, come pure potrebbe sembrare ad un primo approccio, il disco del coming down dopo la sbornia house (meticcia e fantastica) iniziata con l’ep Ringer (2008), sbocciata in There Is Love In You (2010) e proseguita con i successivi output (quelli raccolti in Pink ma anche il mix Fabriclive 59): sarebbe una chiave di lettura semplicistica.

E non è neppure un ritorno alla realtà domestica e intima di Rounds, anche se da quel linguaggio frammentato Four Tet ripesca alcuni dettagli non secondari.

Neppure – e poi la finiamo – è la sua personale interpretazione del suono trovato in compagnia di Burial, anche se l’influenza è evidente nell’inserimento di frammenti vocali eterei, in certe ritmiche rarefatte e in alcune atmosfere di solitudine (Our Navigation).

È qualcosa di diverso, deve essere qualcosa di diverso. O almeno, non solo questo.

Che Beautiful Rewind sia un album frammentario lo si nota già scorrendo la durata dei titoli: 11 compressi in 41′, quindi nulla che superi davvero i 5′ e molto spesso roba che si attesta su 4′ bassi.
E’ un continuo start/stop di nervosismi e incantevoli sciabordii, una specie di condensatissima babele in cui ritmi e stili si (con)fondono, in cui le melodie si squagliano all’improvviso, le percussioni mutuate dal jazz alzano i bpm e diventano jungle, in cui i sample vocali sembrano presi da spacconate di periferia (tipo Gong, Aerial o Kool FM) o da cantanti soul un attimo prima di annegare, o incastrati in un loop infinito.

Si potrebbe discutere a lungo di questa frammentarietà, ma la pietra angolare di tutto è – ancora una volta – il fatto che Kieran Hebden risponde esclusivamente al proprio sentire (e ai propri ascolti): e questo l’ha resto un uomo libero. Libero anche di non seguire nessuna strada, tanto da tracciare lui la rotta, per quanto tumultuosa e a volte inafferrabile.