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Fuck Buttons – Street Horrrsing

fuck-buttons-street-horrrsing-2Il debutto dei Fuck Buttons si apre con un suono celestiale, un carillon cosmico che pare sopravvissuto all’apocalisse, solo nella sua quiete senza eguali.

Ma poco a poco, Sweet Love For Planet Earth mostra il suo vero volto: un rumore bianco e scandito, che sa di orrore, costante nel suo incedere fino a rivelare voci distorte, intrappolante, alla ricerca di improbabile salvezza fino a che un rumore ancora più grosso, ancora più bianco non le spazzerà via con la sua forza calma.

E alla fine, questi quasi 10′ declinano in un rito sciamanico il cui ritmo pare dettato da ossa sbatacchiate assieme, da suoni lontani di animali affamati, nascosti nella foresta lussureggiante, un panorama naturalistico e caotico da cui si elevano grida di atroci sofferenze: Ribs Out è la traccia più breve di Street Horrsing ma anche la più inquietante (ed è una bella lotta).

Solo sei brani, ma si passa la metà dopo i 10′ di Okay, Let’s Talk About Magic: ed è un tempo in cui succede di tutto. Trasmissioni pirata su un canale d’emergenza, come per coordinare un attacco al cuore del mondo – o per scoraggiarlo? – in una moltitudine di fibre che vanno disfacendosi, una continua tensione tra un synth quasi celestiale, un continuo friggere magmatico e distorto, e percussioni che sembrano generate da una vecchia locomotiva consapevole che dietro la curva c’è solo il burrone – e nonostante questo, a velocità folle.

Anche avessero smesso qui, Andrew Hung e Benjamin John Power con questo primo lavoro sono riusciti a raccogliere la pesante eredità del post rock – nel 2008, da anni impacciato ed incartato su se stesso – fondendolo con la più anarchica e febbrile visione del noise, domando macchine, usando innocui giocattoli per creare qualcosa che equivale, senza mezze misure, a L’Urlo di Munch. A dare una forma molto concreta, pesante, materica, a quei colori e a quell’espressione che rimarrà sempre simbolo di una catastrofe inafferrabile racchiusa in ognuno di noi.

Street Horrrsing prosegue senza soluzione di continuità e con minutaggio altissimo: Race You To The Bedroom / Spirit Rise è forse una lotta consumata sulle scale, cercando di non lasciarsi afferrare dai fantasmi crudeli del passato (o di qualsiasi cosa), ed è solo in Bright Tomorrow che in realtà si intravede qualcosa di assimilabile all’elettronica da club, con quella cassa dritta e quell’organo (solo) apparentemente etereo e pacifico, finché a metà strada tutto viene motosegato via, a rotta di collo verso l’ultima ascesa, Colours Move.

E’ la natura che si riappropria del mondo, è la ribellione tutt’altro che innocua della terra, del grano, della pioggia, delle foglie. Tanto letale e ingovernabile da ricordarci che siamo polvere. Polvere e basta.

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