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Gorillaz – The Singles Collection 2001-2011

Gorillaz-300x300Un decennio di Gorillaz.

Erano partiti per essere l’ennesimo side project di Damon Albarn, ma sin da subito con qualcosa di diverso. Una band fatta interamente di fumetti. Fumetti! Niente esibizioni dal vivo, video cartoon e musica frullatore: pop, soul, hip hop, rock, r&b, elettronica. Poi arrivarono i live, che cercavano di coniugare l’esigenza di rimanere immagine e quella di portare la musica tra la gente, per approdare solo in tempi recenti, a disvelare l’ “anonimato” (con la complicità nientemeno che Mick Jones e Paul Simonon).

Questa Singles Collection 2001-2011 probabilmente è l’unico disco dei Gorillaz davvero da avere: tredici indispensabili singoli e due remix. Nei loro album c’è spesso qualcosa di troppo. Qui c’è tutto l’essenziale: dal debutto con Clint Eastwood ed il suo immortale refrain a Doncamatic, facilona ed irresistibile, presente nella riedizione dell’ultimo lavoro Plastic Beach.

Nel mezzo, brani di una bellezza terrificante e trascinante come Dare (con Shaun Ryder e il suo accento mancuniano a farla da padrona), Feel Good Inc. (groove di inalterata bellezza), Rock The House ed i suoi campionamenti, Stylo, con le voci di Mos Def e Bobby Womack,  la meravigliosa On Melancholy Hill (tristissima ed euforica allo stesso tempo, un miracolo di songwriting), e tante altre non meno importanti.

Spesso questa musica è stata definita a ragione meltin’-pop: un calderone di culture, stili, influenze provenienti da altre arti (visuali e concettuali). E’ stata questa mescolanza, questa intuizione geniale che ha fatto si che i Gorillaz anticipassero tutti, capendo come sarebbe girato il vento negli anni zero, e li ha resi la band del decennio.

E c’è da dire che la capacità di unire credibilità indie, successo mainstream e multimedialità sarebbe stata sterile senza l’istinto pop di Damon Albarn, senza il suo songwriting e la sua voce da afterglow (molte volte mascherata). Insomma, la ragione per cui Damon perse negli anni ’90 la sfida del britpop (Blur vs Oasis, per ridurla ai minimi termini adottati dai giornali) è la stessa per cui ora gli va riconosciuto il merito di aver prodotto, con questa sua incarnazione, qualcosa che è insieme simbolo e sinterizzazione di questi primi dieci anni del nuovo millennio frenetico.

Troppo pesanti le sue radici middle class e la sua formazione artistica per reggere il confronto con i rigurgiti edonisti della working class negli anni ’90. Ora, la sua sensibilità è stata decisiva nella lettura della frenesia contemporanea e nello scovare, in questo incessante e frenetico movimento, le componenti ideali per il successo pop.

Il tempo è galantuomo.

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