Dischi

Jlin – Black Origami

Neppure per un istante fingeremo di sapere che diavolo sia la (il?) footwork, anche se possiamo vagamente intuirlo, né di aver avuto notizie di Jlin prima di questo album.

Fatto sta che la prima cosa a colpire è l’artwork nerogrigio con questo elefantino piazzato in primo piano, che stentiamo a credere sia fatto di carta come il titolo suggerirebbe: le sfaccettature ed i riflessi suggeriscono sia una meravigliosa statuetta di metallo.

Mettere su Origami e ficcarcisi dentro per tutti i suoi 40′, poi, è un’esperienza a tratti estenuante: come cercare di seguire le immagini su una vecchia televisione che funziona solo a scatti.

E’ un album di puro ritmo e va in direzioni discontinue attraverso strappi e frammenti che si sovrappongono via via sempre più fitti. E’ come se Jlin avesse tradotto qui una sorta di tribalismo ossessivo, suburbano: questi dodici brani sembrano altrettanti richiami o proclami di guerra tra gang.

In Black Origami c’è di tutto – la techno, riti africani, le acciaierie, l’affanno delle sfide a passi di danza nei corridoi della metropolitana di Chicago, i club di Berlino e quelli di Bombay, il caos disperato delle baraccopoli di Rio e lo scricchiolio delle assi dei palchi di vecchi teatri abbandonati – c’è tutto tranne la melodia, lasciata ai margini in favore di una cacofonia iperattiva, anfetaminica e frammentaria.

L’effetto è straniante: Jlin ha prodotto un album che ha il raro pregio di suonare minimale pur quando la sua ricchezza ha la meglio sui sensi e sull’equilibrio.