Dischi

Johnny Marr – The Messenger

johnny marr the messengerPer capire The Messenger, annunciato un po’ a sorpresa sul finire dello scorso anno, bisogna salire sulla macchina del tempo e tornare un bel pezzo indietro: al tramonto degli anni ’70 e l’inizio degli ’80.

Bisogna pensare a com’era l’Inghilterra prima degli Smiths: il giovane Johnny Marr sguinzagliato per Manchester si stava affermando come un talentuoso chitarrista, aveva registrato qualche demo con i suoi compari, flirtava forte con il post punk. Eccolo, è da lì che viene il suono, ed il mood, di questo primo (vero) album da solo.

E’ la storia raccontata in New Town Velocity (left home a mystery / leave school for poetry…): il momento in chi tutto iniziò, zeppo di speranze un po’ bohémien e spavalderia proletaria, un seme gettato nel vento.

E d’altra parte l’immagine scelta per la copertina del disco la dice lunga sull’ispirazione, partendo proprio dal contesto: quel bianco e nero mancuniano che trasmette immediatamente vuoto, pioggia, Tatcher, industrializzazione e disoccupazione, depressione cittadina. Eppure quel periodo socialmente devastante è l’humus in cui tutto prese vita: da allora Johnny è cresciuto, ha conquistato il mondo ed è tornato a casa per registrare questo disco.

Perciò The Messenger è un ritorno alle origini, e infatti né ha il suono degli Smiths, né quello delle altre innumerevoli band con cui Marr, per oltre due decenni, ha collaborato (due nomi tra le più recenti: Modest Mouse e Cribs).

Suona piuttosto come un album scritto, composto e registrato da un chitarrista, non un songwriter; esattamente, ancora una volta, l’altro lato della medaglia rispetto a Morrissey (solista). E’ questa la differenza tra Johnny Marr e Paul Weller o Noel Gallagher: lui lavora prima di tutto sullo strumento, sul suono che può tirare fuori da lì, ed è una trama in continuo divenire. L’influenza del post punk e dell’indie rock primigenio sgorga evidente negli intrecci della sezione ritmica (la gommosissima title track), ma è la facilità nel creare melodie, idee e spunti che vanno ben oltre dalle linee di chitarra è la vera sorpresa (Lockdown), così come la fluidità nel cantare.

Ma sarebbe sbagliato bollare questo album come un esercizio di stile, o peggio uno sfizio, non lo è affatto. Piuttosto, dopo decenni di peregrinazioni, getta luce su un Marr europeista (European Me: quegli heroes in an empty station sono le persone coraggiose del vecchio continente, costrette a vagare altrove), un rocker un po’ filosofico ed intellettuale.

In Generate Generate storpia Cartesio, spesso si interroga sul rapporto tra l’essere umano e le macchine, la tecnologia (I Want The Heartbeat, Word Starts Attack), la politica delle masse (Upstarts): parla di cose che conosce bene, che maneggia, ma senza pretesa di lanciare messaggi (The Messenger, appunto).

Si, per una volta un album di chitarre tutte sue, e idee tutte sue, magari cresciute a modo loro in anni selvaggi e storti. E direte voi: gli assoli stavolta li fa? Ovviamente no, ma minchia Johnny, che discone!

2 comments on “Johnny Marr – The Messenger

  1. Pingback: Johnny Marr - Call The Comet – Non Siamo Di Qui

  2. Pingback: Video: Johnny Marr - Somewhere – Non Siamo Di Qui

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *