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June Skinner Sawyers (a cura di) – Read The Beatles

Noi abbiamo ancora bisogno dei Beatles, ma non come compositori reclusi, bensì come compagni.
E loro hanno bisogno di noi.
Sostituendo il pubblico con il conservatorio dello studio di registrazione, hanno smesso di essere degli artisti folk, ed è questo cambiamento ad aver trasformato il loro ultimo album in un monologo.

Così si chiudeva la recensione di Sgt. Pepper’s apparsa sul New York Times del 18 giugno 1967, firmata da Richard Goldstein.

Se state pensando di mettere su una piccola biblioteca essenziale sui Fab Four, non eiste miglior punto di partenza di Read The Beatles: edito in Italia per la prima volta nel 2010 da Arcana, è opera della giornalista statunitense June Skinner Sawyers (articolista del Chicago Tribune e del San Francisco Chronicle), che – bontà sua – ha raccolto e vinto una sfida importante: mettere insieme materiale sui Beatles dagli esordi ad oggi.

read the beatles

Scritti di qualunque tipo: articoli di giornale, saggi, poesie, scampoli di interviste, abstract di biografie (su tutte, quelle di Philip Norman e Bob Spitz).

È un percorso rigorosamente cronologico, anche se ovviamente non nel senso di data di pubblicazione di questo materiale: il tempo è quello dei Fab Four.

Dopo la prefazione ad opera di Astrid Kirchherr, la Sawyers inizia questa raccolta proprio dal giorno in cui McCartney incontrò Lennon alla festa della parrocchia di St. Peter, così come ricostruito e poeticamente immaginato dal giornalista Jim O’Donnell.
Di lì è un susseguirsi di frammenti che messi insieme hanno l’immenso merito (e finora inedito a molte generazioni) di ricostruire, come prima cosa, l’esatta percezione che i loro contemporanei avevano dei quattro di Liverpool.

Anzitutto il contesto pre – beatlemania: la vivacità e l’incostanza della scena musicale del Merseyside che filtra attraverso il racconto autobiografico di Cynthia Lennon, la gavetta ad Amburgo come dettagliata da Philip Norman.

E poi le reazioni all’ondata di isteria collettiva che travolse il mondo intero (fu forse, a conti fatti, il primo fenomeno di vera globalizzazione?), da quelle più conservatrici a quelle più accondiscendenti e favorevoli (uno su tutti: la celebrazione della rivoluzione beatlesiana ad opera di William Mann apparsa sul Times alla vigilia di Natale del 1963).

Ancora: l’accoglienza della stampa sull’altra sponda dell’Oceano, qui rievocata attraverso l’esercizio psicologico di Martin Goldsmith, che provò a spiegare attraverso l’analisi degli accordi e della melodia di I Want To Hold Your Hand cosa mai il pubblico americano potesse amare di questi quattro ragazzi di Liverpool.

Quanti di noi poi hanno mai letto davvero quell’articolo che scatenò l’inferno, quando Lennon dichiarò che i Beatles erano più importanti di Gesù? Pochi, temo, (me compreso) abbiano mai avuto l’occasione di leggere esattamente quel brano di Maureen Cleave sul The Evening Standard del marzo 1966.

E via così: si passa dai molti commenti (più o meno velati) al loro ritiro dalle scene, all’influenza sui colleghi musicisti (su questo si possono facilmente confrontare l’articolo citato all’inizio e la lunga dissertazione di Christopher Porterfield sul Times del 22 settembre 1967: lui e Goldstein erano totalmente agli antipodi, fatta eccezione per A Day In The Life e l’opinione sui Monkees); poi le teorizzazioni sulla loro fine, per approdare infine ad un momento successivo: quello della rievocazione (azzeccatissimi i Dieci Grandi Momenti Dei Beatles sul The Evening Standard del 2002).

Per tutti gli anni ’70, e fino alla morte di Lennon almeno, i Beatles sono stati un grosso fantasma con cui chiunque provasse a fare musica doveva misurarsi. Una specie di mostro che forse – forse – avrebbe ancora potuto manifestarsi in tutta la sua grandezza.

Ma Lennon, sovversivo e secondo molti pesantemente influenzato (eufemismo) da Yoko Ono, era messo sotto sorveglianza dall’FBI: Jon Wiener ha scritto un libro su questa vicenda che è da molti (e da lui in primis) considerata una specie di watergate del rock’n’roll, anch’esso in parte ripreso.

C’è moltissimo e ancora di più nelle pagine curate da June Sawyers (compreso il necrologio di George Harrison ad opera di Philip Glass, e anche qualcosa dedicato a Ringo).
Tutto indispensabile, per fan e non appassionati, per partire o sintetizzare qualcosa che fino adesso era forse molto meno afferrabile e condensabile: l’impatto dei Beatles sui giorni nostri, perché la loro storia (dal momento in cui si conobbero ad oggi, per chi sopravvive), è effettivamente la storia dell’evoluzione (mai doma) della società.

Read The Beatles, forse non volendo, risponde ad un’ulteriore domanda: come siamo arrivati qui?

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