Dischi

Lambchop – Flotus

I don’t want to leave you ever
and that’s a long, long time

Flotus è una stanza scura, immateriale e accogliente.

Un’immersione tra riverberi e miagolii, una vecchia soffitta con il tetto sfondato dalla pioggia e la polvere ancora lì, il cane che sguscia via dalla porta socchiusa e corre tra l’erba bagnata tra le facce sorprese di vicini con i quali non abbiamo mai parlato, forse litigato, ma in fondo che importa: è tutto così inafferrabile.

I Lambchop stupiscono ricorrendo abbondantemente a trame elettroniche molto lontane dall’ultimo Mr. M., con l’effetto di dare nuova linfa al loro mood placido ed estatico che si sposa a perfezione con gli esperimenti sulla voce di Wagner, in larga parte analoghi che hanno tanto sorpreso in 22, A Million, solo più riusciti.
In questo contesto, Old Masters potrebbe essere uscita dal canzoniere degli Style Council, appena inacidito, Writer da quella di Lou Reed alle prese con questa tecnologia, in un ripensamento suburbano di Walk On The Wild Side.

Con pochissimo clamore, i Lambchop hanno creato un altro capolavoro dimesso e trasognato, preannunciato solo da The Hustle: i diciotto minuti che chiudono questo album, del tutto fuori contesto nel caldo d’agosto in cui sono ufficialmente emersi, l’unica traccia in cui la voce di Kurt Wagner non è filtrata da un vocoder o da un qualche effetto che la riveste di un miele spettrale.

Fuori contesto, perché Flotus è anche il suono dell’aria umida della campagna dopo il temporale, carica di sentimenti inespressi, persi tra gli sguardi fissi verso un timido arcobaleno.