Dischi

LFO – Frequencies

Nel 1991 – proprio mentre i mass media iniziano a spingere ossessivamente la musica rumorosissima e viscerale proveniente da Seattle e dintorni – in quel di Leeds il suono inventato da due sbarbatelli di appena vent’anni accende una rivoluzione che si dimostrerà ben più durevole.

Loro, Gerrard Valery e Mark Bell, a malapena ne raccoglieranno i frutti: Valery mollerà il colpo nel 1996 poco dopo la pubblicazione del secondo album, Advance, ed il marchio LFO rimarrà al 100% in capo a Bell, il quale poco dopo inizierà a collaborare molto proficuamente con Björk (sua la produzione del capolavoro Homogenic e di molti dei lavori successivi) e resusciterà la creatura una sola volta (Sneath, 2003).

Ma la leggenda poggia tutta su questo debutto, Frequencies, terzo LP in assoluto pubblicato dalla Warp.

Prima di arrivarci, Valery e Bell frequentavano un club di Leeds, il Warehouse; non che mettessero i dischi, proprio no, ma erano soliti allungare al dj di turno le cassettine che creavano a casa cazzeggiando con drum machine e sintetizzatori elementari, nel tempo che dividevano tra la passione per il synth pop, il calcio ed i videogame. Per qualche ragione, su quei ritmi brutali e giocosi, la gente andava via di testa; i ragazzi della Warp – di base a Sheffield, a meno di un’ora di autostrada – se ne accorsero presto e non esitarono a metterli sotto contratto.

Nel luglio del 1990 il singolo LFO arrivò al 12° posto in classifica regalando alla neonata etichetta un primo riconoscimento su scala nazionale; quel brano e la sua grassissima linea di bassi sono ancora oggi uno statement definitivo che si colloca a metà via tra la house di Chicago e il suono industriale del freddo nord inglese.

Trovò posto in Frequencies, che però è tutt’altro che finito lì.

Anzi, è molto facile perdersi in quell’oretta di ritmiche minimali, battiti, sequenze più o meno acide e campionamenti magari solo accennati. Così come è normale pensare – per colpa di tutto quello che è successo dopo – che in fondo si tratta di qualcosa di assai spoglio: ma questo accade appunto perché Frequencies è il grado zero della techno che da allora si è evoluta, bastardizzata, contaminata con ben altro.

L’effetto rimane totalmente ipnotico: nei circuiti degli LFO non c’è nulla di davvero adatto ad un dancefloor d’oggi (se non molto estremo: We Are Back, lì, farebbe ancora un figurone), né è una corsa travolgente nel ritmo (spesso spazia, arrivando a toccare inaspettate sponde ambient).

Sembra tutto molto cerebrale e in fondo lo è, da allora. Per gli LFO si trattava anzitutto dell’ossessiva ricerca di una sporca perfezione tecnica; finì per essere un’innovazione paradigmatica e spigolosa.