Sì, Lucio se n’è andato, ad una spicciolata di giorni dal suo 4 marzo 1943 e pure all’improvviso, mentre era lontano dalla sua Bologna.
L’altra sera, in macchina di notte, stonavo con lui Caruso. Poi dopo che la tv aveva ormai saturato l’aria delle sue canzoni, ho pensato alcune cose.
Ho pensato a mia madre che da piccino mi intonava “dice che era un dell’uomo e veniva, veniva dal mare…“: solo quella strofa, in loop, mentre mi sistemava i capelli.
Ho pensato a me, bimbetto delle elementari, in cerchio con i compagni di classe intorno alla cattedra, a cercare di cantare in coro L’Anno Che Verrà, a cercare di impararla per la festa di Natale. E la maestra che mi diceva che bravo, che bella voce. Sapesse quella maestra, che io la voce per cantare in verità non ce l’ho mai avuta.
La radio che mandava continuamente Canzone, nel 1996.
Poi avanti veloce fino alla serata finale di un Festivalbar all’Arena di Verona, sotto il diluvio, mentre i tecnici ci mettevano una vita a preparare il palco con la sabbia per una triste Ciao in playback, e tanti vaffanculo.
E tre/quattro anni fa, invecchiando, la riscoperta della sua musica: è strano come andando avanti ci si avvicini alle canzoni dei padri.
Due anni fa la sorpresa di una serata al Teatro degli Arcimboldi di Milano, trascinato a sentire Lucio e Francesco che sul palco duellavano a colpi di canzoni incredibili, e l’effetto karaoke su tante di quelle.
E poi, infinite ricerche nell’ipod per quelle lì che mi piacciono, quelle lì che piacciono a tutti, un pugnetto di note che ho ascoltato e riascoltato pure senza saperlo.
Insomma, Lucio Dalla se n’è andato; io ho realizzato che è sempre stato qui.
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