Dischi

Noel Gallagher’s High Flying Birds – Who Built The Moon?

«Una volta, appena tornato a casa, mia moglie mi ha chiesto cosa avessi fatto tutto il giorno. Le ho risposto che ero stato in studio. E lei: “lo so, ma cosa hai combinato lì?”. Allora le ho detto che effettivamente avevo suonato il sintetizzatore per sette ore, e nient’altro. E lei “ma tu non lo sai suonare un sintetizzatore!!”. Ecco… è uno di quei dischi».

Questo ennesimo (e sempre molto verosimile) spezzone della vita domestica di Noel Gallagher riassume al meglio il senso di Who Built The Moon?: Noel si è avventurato oltre sua personalissima comfort zone ed ha sperimentato cose inusuali (almeno) per lui, prima tra tutte accantonare tutto ciò che aveva quasi pronto e creare un album da zero in studio.

Chiariamo: lui è pur sempre cresciuto nella Manchester della Haçienda, ma finora le passate collaborazioni con i Chemical Brothers, le più recenti scorribande con i Gorillaz, la partecipazione al disco-tributo ai Neu! (Brand Neu!, 2009) e le sue playlist su Spotify hanno sempre trasmesso l’immagine di un artista molto più curioso della sua stessa musica.

Questa volta David Holmes – e magari due amici come Paul Weller e Johnny Marr, entrambi presenti su Who Built The Moon?, che una comfort zone non l’hanno proprio mai avuta – lo hanno spinto a trascendere i suoi (autoimposti) limiti e passare all’azione (anziché ascoltare e basta).

Non vale la pena addentrarsi in elucubrazioni sul perché non lo abbia fatto prima, prendiamo per buona la storia che l’aver compiuto 50 anni sia stato un fattore importante; limitiamoci a dire che non accettiamo, qui, l’idea che avrebbe dovuto necessariamente fare questo passo: d’altra parte qualcuno ha mai tacciato (uno a caso) Tom Petty di scarsa fantasia?

Sarà pure un controsenso ma è così: Who Built The Moon? nasce da un atto di egoismo, però suona come musica contemporanea per le masse; non s’imbuca in astrusa sperimentazione sonora ed è anzi espansivo, popular, senza scadere nella faciloneria commerciale. Ne è prova Holy Mountain, che è super catchy grazie ad un sample geniale e ricercato (Chewing Gum Kid dei dimenticati Ice Cream). Tutto corrisponde, forse, ad un mood nuovo: Noel sta imparando (anche) ad essere un frontman e si sta finalmente divertendo come un matto (vedere la sua recente esibizione nel nostro X Factor per credere).

L’apporto di Holmes (uno che i sempre ottimi giornalai nostrani hanno indicato come «un collaboratore di George Clooney») ha dato i suoi frutti, niente roba classica (quella viene buona al fratello), tutto perfettamente amalgamato in un suono sonico e fantasioso.

Ecco: se il nuovo Noel pensa a intrattenere e divertirsi, lo sta facendo certamente molto (molto) meglio di quanto siano riusciti a fare sinora i Coldplay e senza bisogno di flirtare con Rihanna; d’altra parte il modelli di riferimento sono – dichiaratamente – altri, su tutti Kanye West, i CAN (per la incredibile leggerezza di questi ultimi vedere il recentissimo The Singles), i New Order (She Thaught Me How To Fly).

In coda, dopo gli End Credits, arriva Dead In The Water: un brano registrato all’improvviso dal vivo, acustico e splendente come una di quelle gloriose b-side degli anni ’90. È una bonus track infilata in tutte le edizioni del disco ma allo stesso tempo ne è fuori come se Gallagher Sr. volesse circoscrivere questa esperienza, come se Who Built The Moon? sia già, sin dalla sua origine, una parentesi chiusa. Speriamo proprio di no.