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Phosphorescent – Muchacho

phosphorescent muchachoMa che, i Fleet Foxes si sono buttati a corpo morto sui synth? Questa la domanda che mi è venuta ascoltando i primi tre minuti di Muchacho, il nuovo disco di Phosphorescent.

Ma tanto non avevo neanche idea di chi fosse, Matthew Houck, né di cosa andasse cercando da dieci anni a questa parte.

Perché Sun Arises! (An Invocation, An Introduction) è uno spiritual dei tempi nostri, perso in una bolla di sapone e messo lì per entrare nel mood giusto.

E poi arriva Song For Zula.

E si può ascoltare questo Muchacho mille volte, ma nemmeno una senza tornarci. Solenne, elegiaca, rotta come la voce dopo l’ennesimo bicchiere in mezzo al deserto: fuoco dentro, fuoco fuori.

Some say love is a burning thing
That it makes a fiery ring
Oh but I know love as a fading thing
Just as fickle as a feather in a stream
See, honey, I saw love. You see, it came to me
It put its face up to my face so I could see
Yeah then I saw love disfigure me
Into something I am not recognizing

Sei minuti di meditazioni sull’amore che sono come sale e sangue, e Phosphorescent ci fa riemergere con il ritmo (Ride On / Right On), per poi frenare di nuovo, continuamente in bilico su un filo sottile appeso chissà dove, e ai piedi improbabili desert boots.

Muchacho veleggia così, tra una ballata country elegiaca e un coro gospel soffuso che esplode all’improvviso (A Charm / A Blade), temi che sembrano sbucati fuori da un musical postmoderno (Muchacho’s Tune, Down To Go), quando non direttamente da certe rimembranze sixties (The Quotidian Beasts).

Lavora di fino Phosphorescent, ed esorcizza in questo disco tutto il male che può essere racchiuso in una vita tra la polvere, elevandolo a preghiera pagana per un domani più puro.

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