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Radiohead – A Moon Shaped Pool

radiohead_a_moon_shaped_poolIn cuor mio l’unica cosa che posso rimproverare ai Radiohead – ammesso e non concesso che quello sia il termine giusto – è che con il passare degli anni la loro musica si è fatta meno eccitante e più profonda.

Esattamente come la vita, crescendo.

Intendiamoci: è sempre stata complessa, laboriosamente dedita all’esplorazione, a volte anche in modo inconsapevole. Ma è arrivato un momento (difficile identificare il singolo istante, si è trattato più che altro di uno scivolare leggero e denso) in cui ha smesso di contorcersi e ha cominciato a prendere atto di una certa asfissia, cercando altre vie per fuggirne.

Non è forse a low flying panic attack, quel momento in cui i nervi vorrebbero prendere il sopravvento, subito soffocati dai risvolti di una innocenza perduta?

Non è forse sintomo di una adulta frammentarietà il fatto che negli ultimi dieci anni Thom Yorke, Jonny Greenwood e gli altri abbiano di fatto passato più tempo e speso più energie lontano dalla band, piuttosto che lavorando come una singola entità (con il risultato di parcellizzare e distillare quei suoni in una miriade di altri progetti e collaborazioni, più o meno stabili)?

In questo senso, A Moon Shaped Pool e le sue canzoni spesso molto risalenti nel tempo – ma che solo qui e solo oggi hanno trovato una vera collocazione – sembrano cercare di tenere il conto degli anni stropicciati, di riportare ad unità una serie di relitti.

Ma nel suo rimestare, la genesi questo album si è scontrata con una realtà (elemento che nella lunga storia dei Radiohead è rimasto sempre sospeso, o sublimato) dai risvolti imprevisti; perché in fondo è vero che life is what happens to you while you’re busy making other plans (Lennon, o forse no).

This goes beyond me, beyond you

Una separazione netta e consensuale, quella tra Thom Yorke e Rachel Owen, annunciata nell’agosto del 2015 dopo ventitré anni «felici e creativi», e che fornisce oggi una delle possibili chiavi di lettura di A Moon Shaped Pool; perché per quanto il fatto non sia di per sé straordinario, non scontati paiono essere stati i suoi riverberi.

Spiegherebbe, ad esempio, perché ci troviamo di fronte ad un album che poggia forte su strutture orchestrali tipiche dei lavori di Jonny Greenwood come compositore, più che su quell’istinto onnivoro che ha guidato i Radiohead fin qui: se prima si trattava di episodi (All I Need, Codex, Climbing Up The Walls, How To Disappear Completely, Motion Picture Soundtrack), quelle orchestrazioni – suonate dalla London Contemporary Orchestra – sono oggi la spina dorsale del loro suono.

Soprattutto, spiegherebbe il motivo per cui questo nuovo lavoro supera la spavalderia di In Rainbows, l’impenetrabilità di The King Of Limbs, la politica di Hail To The Thief, l’incubo di Ok Computer, l’esistenzialismo di The Bendsla rottura di Kid A (e Amnesiac), per assestarsi infine come il disco più introverso dei Radiohead, dal punto di vista sonoro e lirico.

Non si tratta di amore, della sua fine o delle sue conseguenze, quanto piuttosto (eccoci) di accettazione del cambiamento.

Le parole e le immagini scelte da Thom Yorke questa volta suggeriscono che non sia l’amore a finire, ma le persone a cambiare e crescere, con ogni conseguenza sulle loro modalità di interazione.

E anche se ogni tanto riaffiora una certa amarezza (you really messed up everything: impossibile da decifrare se si tratti di un’ammissione di colpa o di un’accusa), la verità a cui si arriva lungo il tortuoso sentiero dell’età è che different types of love are possibile.

In quest’ottica A Moon Shaped Pool è un percorso in cui si sovrappongono distacco (all the fish swing too deep and lonely and they pray / honey come home before it’s too late), incredulità (have you had enough of me darling?), catarsi (broken hearts, make it rain), spaesamento (panic is coming up strong … I feel this love turn cold), abrasioni (when I see you messing me around / I don’t want to know), disillusione (dreamers, they never learn), voglia di isolamento e di improbabili leggerezze (distance is like a weapon of self defense against the present … I’m dancing, freaking out / deaf dumb and blind).

L’apice, l’accettazione, è che the future is inside us, it’s not somewhere else.

Per quanto possano rispecchiare una condizione personale, gli stati d’animo di Thom Yorke colgono una complessità che stavolta non ha nulla a che vedere con il mondo fuori, quanto piuttosto con le implicazioni di uno sguardo adulto sul panorama emotivo di ciascuno di noi.

Se fino adesso i Radiohead sembravano aver rivolto la loro attenzione all’esterno, A Moon Shaped Pool sposta il focus verso l’interno e lo fa descrivendo una sorta di lunga ed intima redenzione (o disintossicazione) che giunge a quel tipo di verità/accettazione.

E, da un certo punto di vista, l’ordine alfabetico in cui sono disposti i brani pare anch’esso una sorta di appiglio: come se la razionalità, l’ordine convenzionale delle cose, la spersonalizzazione di un elemento che finora era stato frutto di una scelta precisa e meditata, rappresentassero in sé una reazione al casino emotivo.

Si potrebbe poi ragionare a lungo sulla qualità sonica di questo disco, ma il punto è che si tratta di un tutt’uno con le sue tematiche.

Ognuno intravvederà qualcosa di diverso nella sua estetica lucente e vuota allo stesso tempo: la coda orchestrale di Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief, la consapevole scioglievolezza di Present Tense, il ritmo quasi ballabile di Identikit (allo stesso tempo: coro catartico e chitarra insistente sul lato sinistro), l’accelerazione piena di fantasmi in Ful Stop o il crescendo che non va da nessuna parte su Burn The Witch, come un orgasmo troncato.

Di qualsiasi cosa si tratti, con A Moon Shaped Pool i Radiohead sembrano aver accettato anche la consapevolezza della loro storia e della loro influenza sulla contemporaneità, oltre al fatto di essere, ormai, la somma di elementi diversi più che un unico organismo.

E questa complessa realtà che oggi trasmettono e riflettono (musicalmente e non) non assume un significato univoco (né potrebbe farlo): con ciò finisce per confondere, contraddirsi, mescolare e da ultimo spiazzare, costringendoci al confronto con strutture non convenzionali.

Esistono sicuramente migliori definizioni di arte e vita, ma di questo si tratta.

2 comments on “Radiohead – A Moon Shaped Pool

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