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Red Hot Chili Peppers – Mother’s Milk

RHCP_mothers_milkMother’s Milk è ancora oggi una piacevole follia.

È colorato, schizofrenico, drogato, viaggia sul ritmo folle delle corde del basso di Flea, sui fiati, sulla chitarra strabiliante dell’allora diciottenne John Frusciante e rappresenta uno step fondamentale verso la consacrazione definitiva dei Red Hot Chili Peppers.

Ma come (quasi) ogni disco dei RHCP, anche dietro Mother’s Milk si nascondono guai di ogni tipo.

La storia è nota: dopo il tour di The Uplift Mofo Party Plan, Kiedis e Flea, senza chitarrista (Hillel Slovak, overdose di eroina) e batterista (Jack Irons, fuoriuscito per lo shock), trovarono la salvezza in un giovanissimo prodigio della chitarra – e fan della band – di nome John Frusciante e in un batterista di Detroit dal background decisamente poco punk (Chad Smith, che ha di recente raccontato il suo ingresso nella band a Rolling Stone, rivalità cestistica compresa: esiste anche una testimonianza in viva voce di quella audizione).

Non è tutto: Michael Beinhorn (già produttore del precedente The Uplift… e che poi avrebbe registrato dischi milionari come Superunknown, Celebrity Skin e Mechanical Animals) cercava ossessivamente una hit e spingeva Frusciante verso un suono molto più anabolizzato, tanto da costringerlo a mettere giù strati e strati di suoni ed effetti.

Aveva in qualche modo ragione, anche se ancora oggi Frusciante rinnega questo lavoro e da lì la frattura con la band divenne insanabile. Però i RHCP approdarono direttamente su MTV, alle classifiche americane e poco dopo conquistarono il mondo intero.

Effettivamente, il suono di Mother’s Milk è decisamente diverso rispetto ai precedenti: sembrano passati anni luce da lavori come Freaky Styley o The Uplift Mofo Party Plan, che mischiavano punk, funk e rap facendo leva soprattutto sulla sezione ritmica. Qui il baricentro vira decisamente verso la chitarra (e un suono molto metal), ma il motivo non sta solo nella produzione: Frusciante, per quanto giovane, era anzitutto uno che conosceva la musica, la melodia, la composizione e le armonie. Qualcosa che i Red Hot Chili Peppers fino a quel momento avevano solo sfiorato.

E così Mother’s Milk scorre diversamente ritmico, una specie di flusso di coscienza frenetico e assordante la cui coesione richiama i dischi hip-hop; ci sono hit come Higher Ground (presa in prestito da Stevie Wonder), Knock Me Down e Taste The Pain (non solo le prime scritture introspettive di Kiedis, ma anche un anticipo del suono dei RHCP nel corso degli anni successivi), ma anche molto edonismo e spacconaggine (Nobody Weird Like Me, Good Time Boys), dissolutezze varie (Stone Cold Bush, Sexy Mexican Maid), pura follia (Magic Johnson, Punk Rock Classic e pure una cover di Fire di Jimi Hendrix) e uno strano strumentale sotto i 2′ (Pretty Little Ditty).

Insomma, riascoltato oggi questo disco è una specie di strano classico minore, che fotografa i Chili Peppers (non tanto nell’atto di leccarsi le ferite, ma) in attesa di trovare la quadra: sarebbe arrivata di lì a poco con Blood Sugar Sex Magik – ma si sarebbe rivelata tutt’altro che definitiva.

E comunque, appena Pubblicato Mother’s Milk, il successivo guaio all’orizzonte sarebbe stata la causa intentata (e vinta) dalla dea ritratta in copertina, Dawn Alane; per non parlare del tour che ne seguì, leggermente sopra le righe.

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