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Richard Ashcroft – Keys To The World

ashcroft_keysRichard Ashcroft è un soul man.

Uno che crede nel potere salvifico della musica.

Uno che vuole arrivare a tutti e a ciascuno, anche con sfacciataggine, per portare il proprio messaggio.

Spesso ha a che fare con la natura, con i suoi segreti ed il suo potere superiore; o con quelli della musica pop, che può dare la forza di rialzarsi, per quanto uno non ne abbia voglia (e a ragione, certe volte).

Dopo che Human Conditions (2002) era stato accolto come un grosso passo falso (di quelli con “solo” buoni singoli e una collaborazione con Brian Wilson), Ashcroft è stato trascinato in tour dai Coldplay: la nuova leva del pop inglese glorificava quella precedente.

Lui, per nulla intimidito dalle folle oceaniche davanti alle quali si esibivano Chris Martin e i suoi (che erano al top, con X&Y), reggeva il palco per un’ora tonda tonda: Richard, la sua chitarra e una manciata di canzoni che hanno fatto la storia (da History a Bittersweet Symhphony, e tutte le altre uscite dalla sua penna, solo o con i Verve).

È stata quella la svolta: capire di non essere stato dimenticato, di contare ancora molto, per moltissimi. Capita, di ritrovare se stessi facendo da opening act.

Keys To The World è il suo terzo lavoro solista, trascinato in alto nel 2006 da una hit appiccicosa (Break The Night With Colour), ed è probabilmente il migliore. Non è un semplice ritorno dopo un periodo buio, perché basterebbe l’attacco di Why Not Not Nothing, con i fiati e le chitarre lì in primo piano («I ain’t got time for your politics / or your masqueraded machavellian tricks»), che trasuda verve (…) in odore di Stones, per capire che Ashcroft non sta bussando ma sfondando la porta. In grosso stato di grazia.

In Music Is Power (che cita It’s All Over, scritta da Curtis Mayfield per Walter Jackson) torna il tema del potere infinito di una melodia azzeccata («music is the mantra, unwinding your head»); Break The Night With Colour restituisce ad Ashcroft il vertice delle classifiche dopo anni, e ha il suono denso e piacevole di una boccata d’ossigeno, così come Words Just Get In The Way, che parla esplicitamente di rinascita e rivincita («and the bridge above the river is only the beginning of your fall»: dubbi sul fatto che Ashcroft sapesse ancora scrivere?).

Keys To The World scivola via così, con la consueta ricchezza di arrangiamenti: si sente la produzione curatissima del fido Chris Potter, ma a differenza dei precedenti lavori c’è una vibrazione decisamente diversa, una cura maniacale celata sotto un suono da live band. Il soul fa capolino da tutte le parti (vedi la title track, o la successiva Sweet Brother Malcom), così come la consapevolezza sociale e la consueta, inarrestabile, ricerca della melodia perfetta (Simple Song), o perfettamente struggente (Why Do Lovers?).

Da qui in poi Richard riunirà i Verve, con cui darà alle stampe Forth (2008), cancellerà concerti e manderà tutto in malora per la terza volta in vent’anni (2009), si reincarnerà in RPA (Richard Paul Ashcroft) & The United Nations Of Sound (2010). Sarebbe sbagliato dire che si tratta di altre storie, Ashcroft è un caso forse clinico di egocentrismo, megalomania, e grande talento.

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