Dischi

Ride – Weather Diaries

Ad un certo punto, il riff ipnotico che corre sotto Weather Diaries diventa un assolo lento, disteso e cristallino; un attimo dopo viene ripetutamente spinto a fondo da un’ombra assordante che monta alle sue spalle, puro terrore  che occupa ogni spazio, taglia orni bordo come ad inghiottirlo, brucia la canzone stessa attaccandola dall’esterno.

È un momento propriamente shoegaze, una sorta di holocaust section di una bellezza torva e furiosa; per incedere e spietatezza porta alle mente langolieri, quelle creature mostruose che nell’omonima novella di Stephen King fagocitano il tempo passato e rincorrono continuamente invano il presente.

Perché un po’ viene da domandarselo, quale tempo stiano inseguendo i Ride (prima) con la loro reunion e (oggi) con questo nuovo Weather Diaries: quello di Nowhere (universalmente riconosciuto come uno dei capolavori shoegaze), quello del successivo Going Blank Again (che era già qualcosa di diverso), quello di Carnival Of Light (che era diviso a metà tra Andy Bell e Mark Gardener) o quello di Tarantula (l’album che li separò, lontanissimo dalle prime coordinate)?

A ben vedere un po’ tutti questi, anche se la loro eredità più pesante sta indiscutibilmente nei primi due.

La storia insegna che Bell e Gardener ci misero poco a ricucire dopo la fine della band e che prima o poi questa reunion era destinata ad accadere: il fatto che – come dice Gardener – ci fossero «unfinished sonic business», sommato alle costanti offerte per suonare di nuovo dal vivo insieme, alla nuova fervente attività dei loro stessi miti (su tutti Stone Roses e My Bloody Valentine) e, infine, allo scioglimento degli Oasis e poi dei Beady Eye, ha tolto ogni possibile scusa ai quattro.

Steve Queralt, che era uscito completamente dal mondo della musica, ha di nuovo lasciato la sua occupazione; Loz Colbert si è svincolato dai suoi doveri di batterista con Jesus And Mary Chain e Gaz Coombes; Gardener ha messo in pausa la sua attività solista e di produttore; Bell aveva, in effetti, l’agenda vuota. Partiti in tour per tutto il 2015, alla fine di quell’anno avevano accumulato un po’ di demo ed idee sulle quali hanno lavorato con Erol Alkan (alias Beyond the Wizards Sleeve e produttore, tra le tante cose, del glorioso remake che i Franz Ferdinand fecero di All My Friends), alla fine trovando la quadra a tutto in solo due settimane di lavoro.

Il seme di questo lavoro è Integration Tape: si tratta del primissimo sussulto dei riuniti Ride, la prima cosa registrata il primo giorno di prove, ed è uno strumentale simil-ambient di meno di 3′ piazzato quasi in fondo a Weather Diaries (sì, sarebbe stato più simbolico all’inizio, ma boh).

Fatto sta che, a differenza di altri e come gli amati MBV, hanno messo a frutto questo ritrovarsi non solo dal punto di vista economico: hanno personalmente e pubblicamente rivendicato il loro ruolo nella storia della musica (un’esortazione che il loro mentore Alan McGee andava facendo già nel 2007 dalle pagine del Guardian) e sfornato un album tenendosi ben lontano dalla tentazione di rivivere i fasti dei primissimi anni ’90.

In quel caso ne sarebbe uscita una pallida caccia ai fantasmi, invece Weather Diaries è un album moderno e vibrante, che a tratti ringhia (Charm Assault, Lateral AliceCali), a volte scappa via su ritmi motorik (Lannoy Point), non disdegna l’integrazione con qualche trucchetto synth (All I Want, che comunque è prima di tutto un assalto percussivo notevole) e, per quanto pervaso dalla malinconia, si lascia andare solo nel finale con Impermanence e White Sands: preferisce aprirsi e rivelarsi di volta in volta diverso, acuendo la sensazione che i Ride di oggi non assomiglino affatto a quelli di gioventù.

E che la reunion sia stata una scusa perfetta per riprendere un discorso interrotto ed evolversi: staremo a vedere ancora per quanto, ma i Ride oggi sono a tutti gli effetti una band attiva, pensante, produttiva e (soprattutto) in evoluzione.