Diciamolo, probabilmente si tratta del disco firmato Rod Stewart più significativo degli ultimi… 30 anni, e una bella strenna natalizia per gli appassionati.
C’è un po’ di tutto in questo Rarities (che ben avrebbe potuto intitolarsi memories), ripescato dagli anni Mercury (più o meno dal 1969 al 1974), quando Rod sfornava dischi tipo Gasoline Alley o Every Picture Tells A Story: la parte migliore e lontana ancora dai lifting, della tintazza bionda e dalle canzoncine di Natale (da quella crisi di mezza età – diciamo – che sembra perennemente affliggerlo dagli anni ’80).
Sì insomma, quando questo scozzese molto alcolico trascinava nel rock’n’roll, il blues, il folk, si imponeva come un grande interprete (vedi Country Comforts di Elton John, qui dal vivo alla BBC, o Angels di Hendrix, e Girl From The North Country di Dylan, ma anche l’immortale What’s Made Milwakee Famous portata al successo da Jerry Lee Lewis), flirtava con gli Who (vedi Pinball Wizard), e scriveva storie (per l’epoca) molto poco pudiche come Maggie May (presente in una doppia versione: una prima stesura con le parole tutte incasinate e una dal vivo alla BBC) o You Wear It Well (che forse prima di diventare una specie di lettera piena di rimpianti parlava semplicemente di biancheria intima? – ovviamente femminile)
Quando tutto, in compagnia del fidatissimo Ronnie Wood, era possibile – anche morire (è di un estintore che si sente parlare alla fine di I’d Rather Go Blid?). Non è successo, e per fortuna Rarities è la tipica dimostrazione che alla sregolatezza spesso s’accompagna il genio.
Però la questione sta un po’ così: parlando di Rod Stewart non si può fare a meno di ricordarlo com’era splendido, dai fraseggi di chitarra slide su Everytime We Say Goodbye e quella voce che vibrava tantissimo intonando nightime is only / the other side of daytime / but if you’d ever waited for the sun…
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