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Ryan Adams & The Cardinals – Cold Roses

ryan_adams_cold_rosesTra il marzo ed il dicembre del 2005 Ryan Adams pubblica ben tre album: il primo di questi è il doppio Cold Roses, di gran lunga più interessante di quanto sarebbe venuto di lì in poi (quell’anno e nei successivi dieci..).

Quella trilogia ha origine nel gennaio 2004, quando l’ex Whiskeytown frana rovinosamente dal palco durante il tour di Love Is Hell, fratturandosi un polso.

L’infortunio ha dirette conseguenze artistiche perché porta con sé un modo nuovo di approcciarsi alla sei corde e comporre; uno stile diverso e più sottile, sviluppato durante la riabilitazione e supportato dai Cardinals, una backing band arruolata per supportarlo e che con la quale Ryan Adams lavorerà fino al 2010.

Anticipato dal singolo Let It Ride, che ad oggi resiste come la migliore cavalcata folk rock del decennio, senza troppo scomodare gli dèi e con le dovute proporzioni, Cold Roses è una sorta di The Basement Tapes degli anni zero. Un’ora e venti di musica che scava nella tradizione country/folk/bluegrass/roots rock della nazione-continente e l’aggiorna grazie all’istinto melodico di un compositore a tratti sfacciatamente geniale, ma anche fastidiosamente prolifico.

E così, se Ryan Adams avesse condensato in un solo disco quel manipolo di composizioni che qui stanno una spanna abbondante sopra il resto (Magnolia Mountain, Sweet Illusion, Cherry Lane, Easy Plateu, Blossom, Tonight, Dance All Tonight, oltre alla già menzionata Let It Ride e la title track) staremmo parlando di un album strepitoso, fatto di storiacce luride e disperate, earworms da fare invidia a moltissimi, chitarre che svisano di canale in canale dalla scioglievolezza slide a fervori da FM.

Invece c’è anche tutto il resto, cioè – a conti fatti – più o meno la metà delle canzoni di cui Cold Roses è fatto: dovrebbero essere cancellate e dimenticate? Per nulla, la qualità è molto alta, pagano solo a caro prezzo il confronto.

Ma appunto il fascino di questo album sta anche nella sua confusione, nel suo essere – a conti fatti – una specie di lunghissima jam session: spinge ad esplorare, perché basta poco per capire che si potrebbe svoltare all’improvviso e ritrovarsi al cospetto di una melodia incredibile o di uno squisito giro di sei corde.

Tanto che Jacksonville City Nights e 29 (le altre due uscite del 2005) soffrono proprio della volontà del loro autore di voler mettere un punto, oltre che di intuizioni meno felici.

Da qui in poi Ryan Adams sarà capace di combinare tutto ed il contrario di tutto (tipo annunciare il suo ritiro dalle scene e pubblicare un ulteriore disco pochi mesi dopo, ecc…) alimentando il dubbio di aver scambiato – tutti noi – la sua assoluta incapacità di autocritica in geniale iperattività.

Ma ecco, è impossibile ignorare quanto pubblicato nel periodo 2000 – 2005: basta soltanto considerare Cold Roses l’apice del genio e non l’inizio della follia.

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