Dopo varie vicissitudini che complicarono l’uscita del loro album d’esordio (Great Divide, 1996), i Semisonic – tre tizi di saltati fuori dal freddo di Minneapolis – riuscirono a spuntare una promessa importante alla loro etichetta (nessuna deadline per il secondo disco) e ad imporsi una regola stramba: demo fatte solo di chitarra e voce, cosicché quella in studio sarebbe stata a tutti gli effetti la prima prova/registrazione delle canzoni che avevano in mente.
Il risultato diede loro ragione: spinto dal singolo spaccaclassifiche Closing Time, Feeling Strangely Fine (pubblicato il 24 marzo del ’98: l’ultimo scorcio di un’epoca in cui quasi tutto era possibile) fu un successo planetario.
A vent’anni di distanza i Semisonic sono considerati praticamente degli one hit wonders, ma è un po’ ingiusto perché – per quanto improbabile – Feeling Strangely Fine appartiene a quella categoria di album in cui ogni brano è un potenziale singolo o quasi. Insomma, il suo prezzo medio all’usato si aggira attorno ai 3 euro e potrebbe essere un buon investimento.
Ha una sola vera caduta di stile, che è Completely Pleased (troppo gigiona ed inutilmente esplicita), ma per il resto vola e scorre che è un piacere: il piano honky-tonk e la melodia spettacolare di Never You Mind danno ragione a chi, all’epoca, accostò i Semisonic a Ben Folds Five (sia chiaro: inarrivabili); allo stesso modo, brani come Singing In My Sleep,This Will Be My Year e Secret Smile sono perfetti momenti capaci di irrompere dalla radio in un giorno qualsiasi e riaggiustare la giornata.
Questo album ed il successivo All About Chemistry (2001) mostrarono che Dan Wilson sapeva scrivere modo più efficace possibile; se infatti vi state chiedendo dove siano finiti (e chi diavolo fossero) gli altri Semisonic la domanda è pienamente legittima. Quanto a Wilson, probabilmente si sta ancora godendo i Grammy vinti per 21 di Adele (sua Someone Like You), quello per Taking The Long Way delle Dixie Chicks o la nomination guadagnata per Red di Taylor Swift, oltre che una carriera solista di rispetto (al di là dell’Oceano) e collaborazioni con tutto l’universo pop. Al contrario di quanto si possa comunemente pensare, insomma, non proprio una meteora.
Dopo varie vicissitudini che complicarono l’uscita del loro album d’esordio (Great Divide, 1996), i Semisonic – tre tizi di saltati fuori dal freddo di Minneapolis – riuscirono a spuntare una promessa importante alla loro etichetta (nessuna deadline per il secondo disco) e ad imporsi una regola stramba: demo fatte solo di chitarra e voce, cosicché quella in studio sarebbe stata a tutti gli effetti la prima prova/registrazione delle canzoni che avevano in mente.
Il risultato diede loro ragione: spinto dal singolo spaccaclassifiche Closing Time, Feeling Strangely Fine (pubblicato il 24 marzo del ’98: l’ultimo scorcio di un’epoca in cui quasi tutto era possibile) fu un successo planetario.
A vent’anni di distanza i Semisonic sono considerati praticamente degli one hit wonders, ma è un po’ ingiusto perché – per quanto improbabile – Feeling Strangely Fine appartiene a quella categoria di album in cui ogni brano è un potenziale singolo o quasi. Insomma, il suo prezzo medio all’usato si aggira attorno ai 3 euro e potrebbe essere un buon investimento.
Ha una sola vera caduta di stile, che è Completely Pleased (troppo gigiona ed inutilmente esplicita), ma per il resto vola e scorre che è un piacere: il piano honky-tonk e la melodia spettacolare di Never You Mind danno ragione a chi, all’epoca, accostò i Semisonic a Ben Folds Five (sia chiaro: inarrivabili); allo stesso modo, brani come Singing In My Sleep, This Will Be My Year e Secret Smile sono perfetti momenti capaci di irrompere dalla radio in un giorno qualsiasi e riaggiustare la giornata.
Questo album ed il successivo All About Chemistry (2001) mostrarono che Dan Wilson sapeva scrivere modo più efficace possibile; se infatti vi state chiedendo dove siano finiti (e chi diavolo fossero) gli altri Semisonic la domanda è pienamente legittima. Quanto a Wilson, probabilmente si sta ancora godendo i Grammy vinti per 21 di Adele (sua Someone Like You), quello per Taking The Long Way delle Dixie Chicks o la nomination guadagnata per Red di Taylor Swift, oltre che una carriera solista di rispetto (al di là dell’Oceano) e collaborazioni con tutto l’universo pop. Al contrario di quanto si possa comunemente pensare, insomma, non proprio una meteora.