Gli Splashh ci hanno messo cinque anni per dare un seguito al debutto Comfort, che era ok e nulla più.
Si sono isolati, hanno registrato e buttato via tutto, alla fine si sono trasferiti a New York per riprovarci con l’aiuto di Nicolas Vernhes.
Tentativo andato a segno: nessuno si aspettava che riuscissero in una cosa come Waiting A Lifetime, che è un bel viaggio fatto di chitarre ultra compresse, voci distorte, ritmi serrati e sfumature elettroniche (un retaggio del tentativo – abortito – di cambiare completamente direzione).
Gli Splashh diffondono qui una psichedelia sfuggente e spesso struggente, scelgono di puntare su un suono ben poco cristallino che (però) valorizza tutte queste melodie incrostate e rovinate dal sole cocente (spiccano Rings, Closer, See Through): il risultato è che Waiting A Lifetime riesce a non banalizzare la malinconia, a rendere eccitante il loro lato più dreamy.
Prima di questo album era stato abbastanza facile dimenticarsi di loro, ma non sarà più così.
Gli Splashh ci hanno messo cinque anni per dare un seguito al debutto Comfort, che era ok e nulla più.
Si sono isolati, hanno registrato e buttato via tutto, alla fine si sono trasferiti a New York per riprovarci con l’aiuto di Nicolas Vernhes.
Tentativo andato a segno: nessuno si aspettava che riuscissero in una cosa come Waiting A Lifetime, che è un bel viaggio fatto di chitarre ultra compresse, voci distorte, ritmi serrati e sfumature elettroniche (un retaggio del tentativo – abortito – di cambiare completamente direzione).
Gli Splashh diffondono qui una psichedelia sfuggente e spesso struggente, scelgono di puntare su un suono ben poco cristallino che (però) valorizza tutte queste melodie incrostate e rovinate dal sole cocente (spiccano Rings, Closer, See Through): il risultato è che Waiting A Lifetime riesce a non banalizzare la malinconia, a rendere eccitante il loro lato più dreamy.
Prima di questo album era stato abbastanza facile dimenticarsi di loro, ma non sarà più così.