Un album di “girl pop” buono come nessun altro mai. Buono come quelli delle Shangri-Las, buono come le Destiny’s Child. Al centro di tutto, Debbie Harry; non è possibile immaginare il disco senza di lei e il suo carisma. Da maschio, peggio: da giovane maschio, quando l’ho ascoltata la prima volta, lei per me era come una dea. E, di nuovo, questo è un disco pieno di melodie da togliere il fiato. Nella mia lista non troverete nessun disco art rock, nessun jazz: alcuni album di quel disco mi piacciono, li apprezzo con il cervello ma non mi stendono… non riempiono il mio cuore” – Grant McLennan (Go Betweens) su Blondie.
Curato da Stefano I. Bianchi e Christian Zingales (Blow Up), The Desert Island Records è uscito nel 2009 per Tuttle Edizioni.
Ne ho recentemente recuperato una copia usata: è uno di quei libri compilativi che adoro; e che posso permettermi di leggere un po’, lasciare lì, chiudere, dimenticare e ricordarmene a piacimento.
L’idea è semplice: che dischi portereste sull’isola deserta? La domanda è rivolta a gente che di banale ha gran poco. Ognuno di loro ha scelto qualche album e scritto qualche riga di commento. Qualche riga di perché, che ogni tanto è lo sforzo più grande. Dovrà esserci mica un perché preciso e decodificabile se a me piace un disco e a te invece per nulla, no?
In verità The Desert Island Records offre almeno due diverse chiavi (o modalità) di lettura.
Anzitutto, è un’ottima fonte per tutti quelli curiosi di sapere cosa ronza nelle orecchie degli artisti. Ma soprattutto, questo libro può essere letto orizzontalmente.
Attraverso i ricordi e gli ascolti di tutte le persone coinvolte (si va da Nick Hornby ai Mau Mau, dai Fuck Buttons agli OfflagaDiscoPax, da Dargen D’Amico a David Byrne passando per Freak Antoni) si può ricostruire la storia stessa del rock’n’roll, dal basso.
Capire, insomma, cosa rende The Velvet Underground & Nico tanto importante (è forse il disco più citato – una “fama” che trascende etnie, geografie e confini, confermando il vecchio detto che in pochi quando uscì lo ascoltarono, ma tutti quelli che nel tempo lo hanno capito davvero hanno poi iniziato qualcosa), o Loveless, o Low.
O, ancora, leggendo orizzontalmente il libro si può capire l’influenza della musica classica sulla musica pop e sull’insospettabile avanguardia.
Il tutto, ovviamente, senza dimenticare la grande lezione che emerge da questo turbinio di parole stampate: ASCOLTARE, ASCOLTARE, ASCOLTARE. Non semplicemente sentire.
Come se lo spazio che si crea infilandosi le cuffie sia un’ineludibile linea maginot dell’essere.
0 comments on “Stefano I. Bianchi e Christian Zingales (a cura di) – The Desert Island Records”