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The Chemical Brothers – Further

chemical-brothers-furtherTempi duri gli anni zero per i Chemical Brothers: dopo Come With Us (2002) e soprattutto Push The Button (2005) e We Are The Night (2007) – buoni sì, ma non all’altezza (quantomeno “di mestiere”, e senza particolari spunti) – sembravano pronti per la soffitta.

Definitivamente fuori moda dopo aver marchiato a fuoco i ’90, ad ascoltare quegli album sembrava di incrociare dinosauri colti nel disperato tentativo di non estinguersi.

E invece, Further è il più classico dei colpi di coda: atteso, addirittura sperato, e grandioso.

E’ un bel tuffo. A partire dalle intermittenze di Snow e il suo dolcissimo mantra (your love keeps lifting me, lifting me higher…), passando per la lisergica Escape Velocity, la cui cassa drittissima, dopo 7’30”, risucchia tutto il beat in una dimensione parallela per poi svanire su un synth che pare d’intuire un vago riferimento a Baba O’Riley, o Another World, con le sue frequenze tagliate e quelle gocce di LSD che vengono giù come pioggia biblica.

Dissolve riesuma i polverosi crocevia big beat, fino a condensarsi in una nuvoletta di tabla e svanire dentro 5′ di techno left-field (Horse Power); Swoon è introdotta da un suono cosmico mutuato direttamente dallo shoegaze e ridotto all’osso, Wonders Of The Deep è come spiare un concertone pop tipo Coldplay da una disturbatissima telecamera di sicurezza.

Insomma, per il loro ritorno i Chemical Brothers hanno messo da parte super ospiti e (facili) ritmi grassi, concentrandosi sui dettagli. Further è un calderone psichedelico che non concede nulla alle classifiche ma lancia Tom Rowlands e Ed Simons in una nuova dimensione: è il loro Sgt. Pepper’s.

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